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Wagmi PRO | ⚔️ Paolo Savona e la guerra per il controllo del denaro digitale

Paolo Savona, presidente della Consob, intervenendo al Festival dell'Economia di Trento, si è scagliato contro le criptovalute, mettendo in guardia sui pericoli che derivano da una loro legittimazione: “il rischio di fondo è che queste monete private sostituiscano la moneta pubblica perché fanno guadagnare di più". Consciamente o meno, ha acceso i riflettori su un conflitto profondo e ancora sottotraccia: chi controllerà l’infrastruttura monetaria del mondo digitale?


Paolo Savona, presidente delle Consob (foto non ufficiale)
Paolo Savona, presidente delle Consob (foto non ufficiale)

Queste dichiarazioni non sono passate inosservate. Non perché contengano chissà quale intuizione tecnologica, ma perché racchiudono – con una semplicità disarmante – una frattura geopolitica e monetaria che si sta ampliando silenziosamente.

Nel 2025, la digitalizzazione della moneta è ormai un processo irreversibile: non si tratta più di “se”, ma di “come” e soprattutto “da chi” sarà gestita. In questo contesto, il confronto tra valute digitali pubbliche (come l’euro digitale progettato dalla BCE) e valute digitali private (come le stablecoin) si trasforma in una partita a somma zero: chi conquista l’adozione, conquista la nuova infrastruttura monetaria del XXI secolo.

Le parole di Savona, seguite da altre dichiarazioni che denotano una preoccupante ignoranza sui fondamentali delle criptovalute, diventano un pretesto prezioso per far emergere il conflitto tra due visioni opposte: una basata sulla sovranità statale e sull’integrazione monetaria pubblica, l’altra su un ecosistema decentralizzato, più competitivo, spesso dominato da attori privati e non europei.


🔍 Criptovalute o "monete private"?

Nel linguaggio istituzionale, l’espressione “monete private” si riferisce a tutte le forme di denaro digitale non emesse da una banca centrale. Questa categoria include sia criptovalute come Bitcoin o Ethereum, sia – e soprattutto – le stablecoin come USDT (Tether) e USDC (Circle), strumenti ancorati a valute ufficiali ma gestiti da entità private. È proprio questo secondo gruppo a destare le maggiori preoccupazioni tra i vertici economici dell’Unione Europea, in quanto percepito come una minaccia alla sovranità monetaria e alla stabilità dell’intero sistema finanziario.

Il termine “moneta privata” non nasce da un pregiudizio ideologico. Si tratta di un concetto tecnico, adottato anche da attori istituzionali come la BCE e il FMI per indicare tutte le forme di denaro che non fanno capo a un’autorità pubblica. E oggi, più che una previsione sul futuro, rappresentano una realtà concreta.

Le stablecoin USDT e USDC dominano attualmente il mercato globale delle monete stabili. Sono integrate nei principali wallet e protocolli della finanza decentralizzata, movimentano milioni di transazioni ogni giorno e stanno guadagnando terreno anche al di fuori del settore cripto. Per moltissimi utenti – che si tratti di trader su Uniswap, risparmiatori su Aave o lavoratori remoti in cerca di alternative ai bonifici internazionali – queste monete rappresentano una soluzione già oggi più efficiente dell’euro digitale, ancora fermo alla fase pilota, privo di rendimento e non interoperabile con l’ecosistema Web3.

Capitalizzazione del mercato delle stablecoin (fino a Gennaio 2025)
Capitalizzazione del mercato delle stablecoin (fino a Gennaio 2025)

Le monete private non sono solo una promessa, ma una realtà pienamente operativa. E proprio per questo motivo vengono osservate con crescente apprensione da parte delle istituzioni europee.

A rafforzare la loro attrattiva è anche la possibilità di ottenere interessi passivi attraverso versioni evolute come sDAI, USDe o USDM, che permettono di unire stabilità e rendimento senza passare dal sistema bancario tradizionale. In un contesto di trasformazione finanziaria, questa miscela di efficienza, autonomia e incentivo economico sta ridisegnando le regole del gioco. Ed è proprio la loro efficacia a renderle oggi uno dei punti più controversi nel rapporto tra innovazione digitale e controllo pubblico della moneta.


🏛️ La posizione delle istituzioni UE

Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, e Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, hanno ribadito con chiarezza un principio fondamentale: la moneta è un bene pubblico. Non può essere lasciata alle sole dinamiche del mercato. È da questa visione che nasce l’euro digitale, la cosiddetta CBDC emessa dalla BCE, concepita non per competere con il settore privato, ma per rafforzare il ruolo della moneta pubblica nel mondo digitale e garantirne la stabilità in un’epoca di trasformazioni tecnologiche.

Questa posizione non è frutto di conservatorismo ideologico. Affonda le sue radici nella storia stessa dell’Unione Europea e nella missione della BCE, un’istituzione pensata per assicurare stabilità dei prezzi e indipendenza politica, non per rincorrere ogni novità tecnologica.

Dietro questa cautela ci sono motivazioni profonde, sia strutturali che culturali. Sul piano istituzionale, l’Eurozona si muove con maggiore rigidità rispetto agli Stati Uniti. La BCE non ha alle spalle un governo federale e non può contare su un unico interlocutore fiscale o politico. Ogni decisione dev’essere negoziata tra Stati membri spesso in disaccordo – si pensi al rapporto tra Germania e Italia. In questo contesto, l’innovazione monetaria diventa rischiosa, perché mancano strumenti rapidi per correggere eventuali errori e non esiste un Tesoro centralizzato che possa intervenire in modo tempestivo in caso di crisi.

C’è poi un elemento culturale altrettanto determinante. L’Europa è storicamente orientata alla precauzione. L’euro è nato come risposta a una lunga serie di crisi finanziarie, e le istituzioni europee sono state progettate per prevenire shock sistemici, non per cavalcare il cambiamento. Dalla firma del Trattato di Maastricht in poi, la regola implicita è stata chiara: ogni innovazione dev’essere prima compresa, poi regolata, e solo in ultima istanza – eventualmente – adottata.

A tutto ciò si aggiunge la memoria ancora viva delle grandi crisi: quella del 2008 e quella del debito sovrano nel 2011. Episodi che hanno lasciato un’impronta profonda, alimentando la diffidenza verso strumenti percepiti come finanza ombra, meccanismi di disintermediazione bancaria o sistemi che possano indebolire il controllo del credito da parte delle istituzioni.

In questo quadro, l’euro digitale viene concepito come un’estensione della moneta pubblica, non come una sua sostituzione. Rispetto all’euro ordinario, offre una serie di vantaggi strutturali: è programmabile, più adatto all’interazione con ambienti digitali e sistemi automatizzati; può funzionare offline in determinate condizioni; garantisce maggiore privacy rispetto ai pagamenti digitali privati e, soprattutto, rafforza la presenza della banca centrale nel sistema dei pagamenti, oggi dominato da attori privati e infrastrutture esterne all’area euro.

Ma questi vantaggi sono accompagnati da limiti ben precisi. L’euro digitale sarà privo di rendimento, avrà limiti d’uso per evitare la fuga dai depositi bancari, e sarà disegnato per non destabilizzare il sistema finanziario esistente. In sostanza, sarà una moneta pubblica digitale, ma con funzionalità attentamente calibrate per non alterare gli equilibri.

Il punto critico è che, nel frattempo, le stablecoin private stanno già offrendo ciò che l’euro digitale volutamente limita: interoperabilità con l’ecosistema Web3, efficienza nei pagamenti internazionali, e anche forme di rendimento. In questo scenario, l’Europa rischia di essere tecnicamente prudente, ma strategicamente irrilevante, proprio nel momento in cui si sta ridefinendo il ruolo stesso della moneta nel nuovo ordine economico digitale.

💣 Gli USA espandono, l’Europa si difende


Mentre l’Europa continua a discutere regole e limiti, le stablecoin ancorate al dollaro si sono già affermate come valuta di fatto del Web3. Nel 2025, USDT e USDC hanno superato insieme i 200 miliardi di dollari di capitalizzazione, segnando un’espansione massiccia e concreta. Un aspetto cruciale spesso sottovalutato è che gran parte di queste riserve è investita in titoli di Stato americani.

Il divario strategico è evidente. Da un lato, Bruxelles adotta un approccio difensivo, focalizzato sulla tutela del perimetro monetario europeo. Dall’altro, Washington ha già conquistato un ruolo dominante nel Web3 senza nemmeno ricorrere a una propria CBDC.

Il modello statunitense si basa su stablecoin emesse da attori privati come Tether e Circle, ma interamente ancorate al dollaro. Le riserve che le sostengono – in larga parte investite in Treasury – fanno sì che questi strumenti digitali svolgano di fatto una funzione di finanziamento del debito pubblico americano. Solo Tether, stando alle proprie dichiarazioni, detiene oltre 120 miliardi di dollari in titoli del Tesoro, più di molti Paesi sovrani.

Per gli utenti – che si tratti di investitori, risparmiatori o operatori DeFi – queste stablecoin funzionano come dollari digitali non ufficiali, ma pienamente operativi. Ogni transazione in USDT o USDC equivale a una circolazione di dollari nel Web3, anche senza un intervento diretto della Federal Reserve.

Le implicazioni sono notevoli. Gli Stati Uniti ricevono liquidità da tutto il mondo senza espandere la base monetaria. La dominanza del dollaro nell’economia digitale si consolida, mentre l’Europa resta sostanzialmente assente dal nuovo scenario.

Questo vantaggio si riflette anche sul piano economico. Gli USA rafforzano la loro leadership fintech, attraggono capitali, startup e talenti da altri continenti, e rilanciano il ruolo delle banche americane nel sistema digitale. Inoltre, delegando al settore privato la sperimentazione tecnologica, riescono a innovare senza esporsi direttamente al rischio sistemico, mantenendo comunque il controllo attraverso la regolazione.

In definitiva, le stablecoin americane si sono imposte come strumenti strategici di proiezione monetaria globale. L’euro, invece, rimane vincolato ai tempi lenti della progettazione istituzionale. E mentre il Web3 si consolida attorno a infrastrutture sempre più dollaro-centriche, il rischio per l’Europa è di arrivare tardi e senza margini di manovra reali.

🔫 Le stablecoin come armi di soft power

Queste monete digitali non sono più semplici strumenti di pagamento: sono diventate canali di espansione del potere monetario statunitense nel mondo digitale.

Ogni USDT o USDC in circolazione non rappresenta solo un dollaro, ma un dollaro tokenizzato, immediatamente utilizzabile ovunque, in qualsiasi momento, senza confini geografici né autorizzazioni centralizzate.

Il loro utilizzo è ormai pervasivo. Sono al centro delle operazioni su DEX e protocolli DeFi: dal lending al borrowing, dal trading allo yield farming. Circolano quotidianamente in wallet e applicazioni consumer, per pagamenti peer-to-peer, risparmio, trasferimenti e conversioni transfrontaliere. E nei mercati OTC dei Paesi emergenti, dove l’accesso a un sistema bancario affidabile è spesso assente, sono diventate un’alternativa funzionale alla valuta locale.

Ma ciò che apparentemente ignora il dibattito europeo è l’infrastruttura monetaria che sorregge queste stablecoin. Le riserve di Tether e Circle sono investite principalmente in titoli del Tesoro americano a breve termine, offrendo non solo copertura e liquidità, ma anche un rendimento costante.

Questo meccanismo genera un duplice effetto. Da un lato, gli utenti di stablecoin in tutto il mondo contribuiscono indirettamente a finanziare il debito pubblico statunitense. Dall’altro, il Tesoro USA beneficia di una domanda stabile e diversificata per i propri titoli, riducendo la necessità di ricorrere a banche centrali estere o investitori istituzionali.

In pratica, un cittadino di Lagos, un trader di Seoul o un freelance in Argentina stanno sostenendo il bilancio federale statunitense ogni volta che utilizzano una stablecoin ancorata al dollaro.

E mentre tutto questo accade, la Federal Reserve non ha alcuna urgenza di lanciare una propria CBDC. Il settore privato ha già costruito l’intera infrastruttura digitale del dollaro, senza costi politici, senza frizioni normative, e con benefici tangibili per l’economia americana.


🌐 Un dollaro globale, senza la Fed


Ed ecco la strategia vincente del modello americano: non è stato necessario emettere un dollaro digitale ufficiale. Il mercato ha fatto da solo, tokenizzando il dollaro in modo spontaneo, fluido, senza interventi centralizzati o imposizioni normative.

Questo approccio ha permesso agli Stati Uniti di ottenere ciò che molte banche centrali inseguono da anni: una valuta accettata ovunque nell’economia digitale, senza bisogno di una CBDC emessa dalla Federal Reserve.

I numeri lo confermano. Nel 2025, oltre 230 miliardi di dollari in stablecoin sono in circolazione, con USDT e USDC che coprono oltre il 90% del mercato globale. Queste monete digitali sono utilizzate in più del 70% delle transazioni on-chain denominate in valuta fiat, mentre l’euro rappresenta appena il 2% del totale, una quota inferiore ai 500 milioni di dollari – del tutto irrilevante in termini sistemici.

Le proiezioni indicano una crescita continua. Tra il 2025 e il 2027, si stima che la capitalizzazione complessiva possa raggiungere i 400 miliardi di dollari, con una penetrazione crescente nel sistema bancario tradizionale e una domanda istituzionale in aumento per stablecoin regolamentate con rendimento integrato, come USDM, sDAI o tokenized T-Bills. Nel lungo periodo, entro il 2030, il mercato potrebbe superare i 1.000 miliardi, diventando una vera infrastruttura parallela al sistema bancario, soprattutto nei Paesi emergenti e nei settori digitali.

Proiezione al 2030 del valore dei titoli di Stato USA detenuti dagli emittenti di stablecoin
Proiezione al 2030 del valore dei titoli di Stato USA detenuti dagli emittenti di stablecoin

Tutto questo sta accadendo senza che la Federal Reserve abbia emesso un solo dollaro digitale ufficiale.

Il Web3, per sua natura, ha premiato la velocità, la flessibilità e l’interoperabilità. Tre qualità che il sistema monetario europeo, vincolato a una cultura della cautela e del controllo centralizzato, non è riuscito a mobilitare in tempo. Le autorità europee hanno osservato, discusso, regolato, ma non hanno agito con la prontezza necessaria.

Nel frattempo, il dollaro digitale privato è diventato il linguaggio standard del Web3: dei protocolli, dei wallet, delle app consumer. E l’euro? Assente.

⚖️ Stablecoin vs Euro Digitale: un confronto impari?

La sfida tra stablecoin e euro digitale non è soltanto una competizione tecnica tra due strumenti di pagamento. È, a tutti gli effetti, uno scontro tra due visioni opposte di governance monetaria.

Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della BCE, ha riassunto con chiarezza l’urgenza: "Con le stablecoin americane perdiamo non solo commissioni e dati, ma anche depositi in euro, perché ogni volta che si sottoscrive una stablecoin americana questo significa trasferire depositi dall'Europa agli USA". Per lui, l’euro digitale rappresenta la risposta europea a questo rischio sistemico.

Ma il confronto parte da basi profondamente asimmetriche. Da un lato troviamo un ecosistema decentralizzato, nato nel Web3, veloce, adattivo, costruito attorno alle esigenze degli utenti. Dall’altro, un’istituzione pubblica con un mandato di stabilità, costretta a muoversi con cautela e riluttante a disintermediare il sistema bancario tradizionale.

Le stablecoin oggi offrono una combinazione funzionale potente: stabilità (grazie all’ancoraggio al dollaro), rendimento passivo integrato (attraverso strumenti come USDM, sDAI o USDe), piena interoperabilità con l’universo DeFi, e flessibilità totale nell’uso: trasferimenti istantanei, senza limiti, attivi 24 ore su 24. Per milioni di utenti, rappresentano l’equivalente di un conto in dollari, accessibile ovunque, senza barriere né burocrazia.

E l’euro digitale? Secondo i documenti ufficiali, sarà non remunerato, soggetto a limiti di detenzione e utilizzo, non interoperabile con la finanza decentralizzata, e destinato a funzioni di pagamento retail di base. In pratica, un clone digitale del contante — ma con più restrizioni.

Se l’euro digitale non offre una proposta funzionale competitiva, sarà impossibile contrastare il dominio crescente delle stablecoin in dollari. E i cittadini europei, davanti a strumenti più utili, più versatili e più remunerativi, sceglieranno col portafoglio, non con la retorica della sovranità.

È in questo contesto che si inseriscono le preoccupazioni espresse da Paolo Savona e dai vertici europei. Il problema non è solo tecnologico: è politico, economico e strategico. E riguarda il futuro stesso dell’autonomia monetaria europea nel mondo digitale.

⚠️ Ma attenzione: i rischi delle stablecoin sono reali

Per quanto rappresentino una delle innovazioni più dirompenti nel mondo dei pagamenti digitali, le stablecoin non sono prive di rischi strutturali. E se sottovalutati, questi rischi potrebbero trasformarsi in vulnerabilità sistemiche per i mercati finanziari globali.

È innegabile che le stablecoin offrano una proposta di valore forte: stabilità, efficienza, rendimento e interoperabilità. Ma l’adozione su larga scala di strumenti privati, spesso non regolamentati o opachi, comporta fragilità profonde che né l’ecosistema crypto né i regolatori possono permettersi di ignorare.

Uno dei nodi centrali riguarda la qualità e trasparenza delle riserve. Diverse stablecoin, soprattutto quelle meno regolamentate, non offrono garanzie chiare né audit regolari sulle riserve che dovrebbero garantire il valore del token. Il caso più clamoroso è stato quello del collasso di Terra/Luna nel 2022, con la stablecoin algoritmica UST che ha perso completamente il peg, bruciando oltre 40 miliardi di dollari in pochi giorni. Anche se UST apparteneva a una categoria diversa (non collateralizzata in fiat ma algoritmica), l'effetto contagio ha minato la fiducia nell'intero comparto.

Perdita del peg col dollaro di $UST, stablecoin algoritmica dell'ecosistema Terra/Luna (Maggio 2022)
Perdita del peg col dollaro di $UST, stablecoin algoritmica dell'ecosistema Terra/Luna (Maggio 2022)

Perfino Tether – la stablecoin dominante – pur avendo migliorato la propria disclosure nel tempo, continua a sollevare interrogativi sulla composizione effettiva delle sue riserve. In un ecosistema che si fonda sulla fiducia istantanea, anche il solo dubbio può scatenare effetti a catena.

A ciò si aggiunge una dipendenza geopolitica evidente. Le principali stablecoin (USDT, USDC) sono emesse da entità con sede negli Stati Uniti o in giurisdizioni offshore. Questo significa che, in caso di cambiamenti normativi, crisi diplomatiche o sanzioni, l’Europa si troverebbe esposta a strumenti di pagamento strategici che non controlla. È difficile immaginare un sistema bancario nazionale basato su infrastrutture estere – eppure nel Web3 sta accadendo esattamente questo.

Il rischio più insidioso, però, è quello sistemico. Se una stablecoin non riuscisse a mantenere il peg, si potrebbe innescare una corsa al riscatto da parte degli utenti, costringendo l’emittente a liquidare rapidamente le proprie riserve – spesso costituite da asset come titoli del Tesoro USA. Questo scenario avrebbe impatti immediati e potenzialmente destabilizzanti sui mercati finanziari. L’esperienza del fallimento di Silicon Valley Bank ha già dimostrato quanto velocemente possa muoversi il capitale digitale, amplificando qualsiasi shock in tempi record.

Tabella comparativa tra euro digitale e stablecoin
Tabella comparativa tra euro digitale e stablecoin

Le stablecoin sono strumenti potenti, ma proprio per questo vanno integrate in un framework normativo chiaro e solido. L’obiettivo non dev’essere quello di ostacolare l’innovazione, ma di massimizzarne i benefici e limitarne i rischi sistemici.

Le preoccupazioni sollevate dalle istituzioni europee, da Paolo Savona alla BCE, non sono soltanto frutto di conservatorismo ideologico. Sono un tentativo di difendere la stabilità monetaria in un contesto in cui le frontiere tra finanza pubblica e privata, nazionale e globale, sono sempre più sfumate. Ignorare il potenziale destabilizzante delle stablecoin sarebbe miope quanto impedirne lo sviluppo a priori. Serve equilibrio, ma anche lucidità strategica.

📜 Il regolamento MiCA: un punto di partenza… ma anche un freno

Il regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets), entrato in vigore nel 2024, rappresenta un passo fondamentale per garantire certezza legale ai mercati digitali europei. Ma nonostante il suo valore istituzionale, nella forma attuale pone limiti molto restrittivi, che rischiano di frenare l’innovazione, in particolare quella legata alle stablecoin.

L’Unione Europea è stata la prima giurisdizione al mondo ad adottare un quadro normativo completo sui crypto-asset, segnando un traguardo rilevante soprattutto sul fronte della tutela degli utenti retail. Tuttavia, l’ambizione di regolamentare il settore si è tradotta in rigidità operative che rendono, tra le altre limitazioni, quasi impossibile sviluppare stablecoin davvero competitive su scala globale.

Uno dei nodi principali riguarda il divieto implicito di rendimento. Secondo MiCA, i token classificati come EMT (electronic money tokens) non possono offrire interessi passivi. Questo esclude a priori strumenti come USDM (Mountain Protocol), sDAI (MakerDAO) o USDe (Ethena), che rappresentano oggi l’avanguardia della finanza digitale tokenizzata. È un paradosso normativo: proprio i prodotti più innovativi del settore sono vietati per legge nell’Unione.

Altro elemento critico è rappresentato dalle soglie di utilizzo e dai limiti alla circolazione. Le stablecoin considerate “significative” – cioè con alta capitalizzazione o uso diffuso – possono essere soggette a restrizioni sull’impiego o addirittura vietate come mezzo di pagamento. In pratica, più una stablecoin ha successo, più diventa vulnerabile a limiti normativi.

C’è poi il tema delle licenze, riservate esclusivamente a banche o IMEL (Istituti di Moneta Elettronica). Questo significa che le Web3 company, le fintech o le DAO non possono emettere direttamente stablecoin, se non attraverso l’intermediazione di un soggetto vigilato.

Il risultato? Costi più alti, processi più lenti, e dipendenza da soggetti terzi.


Infine, un limite di fondo: l’esclusione totale della DeFi. MiCA non riconosce né regolamenta la finanza decentralizzata. Chi sviluppa protocolli DeFi, dApp o infrastrutture on-chain in Europa resta in un vuoto normativo, senza una cornice chiara su cui costruire. Un’assenza che rischia di spingere talento, capitale e innovazione fuori dai confini europei.


🚫 Una normativa che protegge… ma non attrae

Il regolamento MiCA ha il merito di offrire protezione agli utenti retail, arginando truffe, frodi e abusi nei mercati cripto. Ma al tempo stesso, non crea un ambiente favorevole all’innovazione. Il risultato è che molte crypto startup europee si trovano davanti a un bivio tutt’altro che competitivo.

Molte sono costrette a trasferirsi in giurisdizioni più flessibili, come Stati Uniti, Emirati Arabi o Singapore, dove il quadro normativo è più favorevole alla sperimentazione. Altre scelgono di operare tramite licenze estere, perdendo però radicamento e riconoscimento sul mercato europeo. E non mancano i casi in cui i progetti rinunciano del tutto a lanciare prodotti innovativi, scoraggiati da vincoli e incertezza regolatoria.


La prima conseguenza è una fuga di cervelli e capitali. Progetti nati in Europa – spesso tra i più promettenti – vengono sviluppati e scalati altrove. I fondatori si spostano, gli investitori li seguono, e l’Europa perde terreno nella capacità di attrarre e trattenere talenti nel Web3.


La seconda è una dipendenza crescente da standard esterni. Le stablecoin più usate parlano in dollari, seguono la regolamentazione USA e funzionano su protocolli DeFi che con l’Europa non hanno nulla a che vedere. Di fatto, l’Unione non detta più le regole, ma le subisce.


Infine, c’è il rischio di una totale invisibilità strategica. Senza una stablecoin propria, l’euro resta escluso dal cuore pulsante dell’economia digitale: protocolli DeFi, wallet, marketplace NFT, applicazioni consumer. Il risultato è un sistema monetario disconnesso da un settore che oggi vale già trilioni di dollari.


A monte di tutto questo, c’è una logica regolatoria fortemente orientata al controllo. Comprensibile, se si considerano le responsabilità delle istituzioni pubbliche nel prevenire abusi e proteggere la stabilità finanziaria. Ma l’ossessione per la supervisione preventiva, per la limitazione dell’autonomia operativa di imprese e utenti, rischia di soffocare anche le opportunità.


La regolamentazione europea si muove secondo una logica di tutela, non di visione. Cerca di difendere da rischi potenziali, ma non coglie l’occasione di trasformare l’Unione in un polo competitivo globale per l’innovazione monetaria e tecnologica. In un mondo dove il potere economico si gioca sulla capacità di standardizzare, guidare e modellare nuovi paradigmi digitali, questa potrebbe rivelarsi una pessima scelta strategica.

🌍 Chi controllerà il denaro digitale? Il nodo geopolitico


Nel mondo fisico, il controllo della moneta è da sempre una leva fondamentale di potere geopolitico. Con il passaggio al digitale, questa dinamica non solo persiste, ma si evolve, spostandosi su nuove infrastrutture: wallet, smart contract, protocolli decentralizzati, stablecoin. La questione non è più tecnica o regolatoria, ma profondamente strategica: chi deterrà il controllo del denaro digitale nel Web3?


La tokenizzazione di valore, pagamenti e risparmio sta ridisegnando la geografia monetaria globale. Non si fonda più su banche centrali o confini nazionali, ma su infrastrutture digitali distribuite come layer 1 pubblici, wallet non custodial e protocolli automatici. In questo scenario, il potere non lo esercita più chi emette moneta, ma chi costruisce gli standard su cui quella moneta si muove.


Ed è proprio su questo terreno che l’Europa risulta assente. Non esistono oggi stablecoin in euro con scala significativa, né protocolli DeFi di rilievo che utilizzino la moneta unica come riferimento. L’Unione non partecipa attivamente alla definizione degli standard monetari emergenti, restando spettatrice in un contesto dove si decidono gli equilibri futuri.


Le conseguenze sono già visibili. Nel Web3, i pagamenti avvengono in dollari, le riserve digitali globali sono denominate in USD e l’intera infrastruttura economica decentralizzata si muove su piattaforme che riconoscono un solo linguaggio: quello del dollaro tokenizzato. Il pericolo non è soltanto quello di rimanere indietro sul piano dell’innovazione, ma di cedere sovranità monetaria nel nuovo ordine digitale.


Una volta che uno standard si consolida, cambiarlo diventa quasi impossibile. Se l’Europa non agisce ora per costruire alternative euro-based credibili, domani potrebbe non avere più margine d’intervento.


💵 Un Web3 che parla (solo) in dollari


Il dominio del dollaro nel Web3 non è una tendenza emergente: è già una realtà. Più del 90% delle stablecoin in circolazione è denominato in USD, con USDT e USDC che da sole superano i 200 miliardi di capitalizzazione. Tutte le stablecoin in euro, sommate, non raggiungono nemmeno i 500 milioni. Questo squilibrio sta diventando sistemico.


Le implicazioni sono profonde. Dal punto di vista tecnico, le applicazioni decentralizzate, gli exchange e i protocolli finanziari sono progettati fin dall’inizio per operare con stablecoin in dollari. L’euro, privo di presenza on-chain, non entra nemmeno nel perimetro del design.


Anche sul fronte dei pagamenti, il divario è evidente. Le app consumer e aziendali nel Web3 adottano i dollari digitali come standard operativo. Una piccola o media impresa europea che volesse accettare pagamenti cripto, o integrare finanza decentralizzata, dovrebbe passare per il dollaro, affrontando costi, rischi di cambio e complicazioni normative.


E non meno rilevante è l’impatto sul risparmio. I wallet digitali, sia custodial che non, offrono rendimento passivo quasi esclusivamente in stablecoin USD. Anche i cittadini europei, alla ricerca di opportunità più efficienti, finiscono per trasferire i propri capitali digitali verso asset regolati fuori dall’Unione, alimentando una dipendenza silenziosa ma crescente da infrastrutture esterne.

💶 Stablecoin euro e debito pubblico: l’occasione nascosta


Eppure, se ben progettate e correttamente regolamentate, le stablecoin in euro potrebbero diventare una leva strategica per rafforzare la sovranità monetaria europea.

Fino a oggi, il dibattito pubblico e istituzionale si è concentrato quasi esclusivamente sui rischi che queste tecnologie potrebbero comportare per il sistema bancario. Ma c’è un’opportunità che l’Europa non ha ancora colto e che invece gli Stati Uniti stanno già sfruttando con efficacia: utilizzare le stablecoin come strumento per creare domanda stabile e strutturale per il debito pubblico.


Il meccanismo è semplice. Invece di ancorare le stablecoin a generiche riserve liquide o asset cash-equivalent, l’Europa potrebbe autorizzare l’emissione di stablecoin garantite direttamente da titoli di Stato, come BTP, Bund, OAT o Bonos. Questo tipo di backing trasferirebbe la domanda proveniente dal Web3 verso strumenti di finanziamento pubblico, seguendo un modello già adottato in modo informale da emittenti di stablecoin in dollari come USDT e USDC, basate in larga parte su Treasury americani.


Una simile infrastruttura potrebbe essere resa pienamente trasparente e sicura tramite l’integrazione di sistemi di audit, supervisione e vigilanza, affidati alla BCE o all’EBA. In questo modo, le stablecoin euro-backed diventerebbero strumenti istituzionali compliant, potenzialmente accessibili anche da parte di investitori tradizionali e non solo da utenti cripto.

A beneficiarne sarebbe anche il risparmio privato europeo. Gli utenti, invece di convertire in dollari digitali, avrebbero a disposizione una moneta stabile, sicura e remunerata in euro, contribuendo indirettamente al finanziamento della propria economia attraverso un canale moderno e decentralizzato.


I vantaggi strategici di questa scelta sarebbero molteplici: una nuova base di domanda per il debito sovrano europeo, una minore dipendenza da banche centrali o investitori esteri, un rientro dei capitali digitali nel perimetro continentale, e soprattutto l’emergere di un’alternativa credibile al dominio del dollaro nel Web3.


Non servono rivoluzioni tecnologiche per costruire questo modello. Serve una scelta politica chiara e un quadro normativo adattivo, capace di guardare oltre la logica del divieto e cogliere il potenziale strategico delle stablecoin. Non per contrastarle, ma per governarle e usarle come strumento di sovranità in uno spazio digitale che sarà sempre più decisivo.

🔀 Due scenari possibili – e una via d’uscita strategica


Il futuro del denaro digitale in Europa è ancora da scrivere. Ma il tempo per decidere si sta rapidamente riducendo. Le scelte regolatorie dei prossimi 24 mesi stabiliranno se l’euro potrà giocare un ruolo centrale nel Web3, oppure resterà una moneta analogica in un’economia sempre più tokenizzata.

📈 Scenario 1 – Una regolamentazione favorevole alle stablecoin in euro

In questa prospettiva, l’Unione Europea rivede l’attuale impianto normativo puntando su una sintesi intelligente tra sicurezza, controllo e competitività. Le stablecoin remunerate vengono ammesse entro vincoli trasparenti, con audit e supervisione sistemica. Si apre alla possibilità di stablecoin garantite da debito pubblico europeo, trasformando uno strumento tecnologico in una leva di finanziamento sovrano.

Vengono attivate sandbox regolatorie per la sperimentazione controllata, sotto l’egida della BCE, dell’EBA o delle autorità nazionali. Il risultato è un contesto in cui le startup europee restano, innovano e crescono. L’euro torna a contare nei pagamenti digitali. E la finanza tradizionale trova una via d’accesso naturale alla DeFi.

In questo scenario, le stablecoin in euro potrebbero raggiungere il 10-15% del mercato globale entro il 2027, riequilibrando almeno in parte l’egemonia del dollaro digitale.

📉 Scenario 2 – L’inerzia di MiCA

Nel secondo scenario, MiCA resta com’è. L’impostazione è difensiva, centrata sulla protezione dell’utente e sul contenimento dell’innovazione. Le stablecoin con rendimento restano vietate, i limiti d’uso impediscono la scalabilità, e l’emissione di moneta digitale privata resta riservata solo a banche o IMEL.

Le imprese cripto lasciano il continente. L’euro digitale, pur essendo tecnicamente solido, non riesce a imporsi come moneta d’uso nel Web3. In questo scenario, l’euro non scompare. Ma perde influenza. E in un contesto dove la finanza è digitale, programmabile e globale, perdere influenza significa cedere potere geopolitico.

💡 Una terza via – Euro digitale e stablecoin regolamentate in sinergia

C’è però una terza opzione, più complessa ma anche più realistica: costruire un’infrastruttura monetaria a doppio livello che integri l’euro digitale e le stablecoin regolamentate.

In questo modello, l’euro digitale funge da base pubblica, non remunerata, garantita dalla BCE. È l’equivalente digitale del contante: accessibile, sicuro, sistemico. Accanto a esso, le stablecoin in euro sono emesse da soggetti vigilati e offrono funzionalità evolute: rendimento, interoperabilità con la DeFi, programmabilità.

Il legame tra le due componenti è strutturale. Le stablecoin potrebbero essere ancorate all’euro digitale, con sistemi di compliance automatica integrati on-chain. Questo permetterebbe di contenere i rischi senza soffocare l’innovazione, garantendo fluidità d’uso per i cittadini, che si muoverebbero liberamente tra moneta pubblica e privata, come oggi accade tra contante e conto deposito.

Non sarebbe una copia del dollaro, ma un modello europeo, alternativo e credibile. Un ibrido capace di difendere la sovranità, abilitare la competitività e rendere l’euro protagonista nell’economia digitale.

🧠 Conclusione – Il vero dilemma


La questione non è più se le stablecoin debbano esistere o meno. Esistono già. Sono usate da centinaia di milioni di persone, integrano la DeFi, muovono miliardi ogni giorno e, in alcuni casi, influenzano persino i flussi del debito pubblico.


Il vero nodo è un altro: chi le controllerà, con quali regole, e per quale scopo?


Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della BCE (a sx) e Christine Lagarde, presidente delle BCE (a dx)
Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della BCE (a sx) e Christine Lagarde, presidente delle BCE (a dx)

Il dilemma europeo è triplice:


Chi controllerà il denaro digitale in euro? Saranno aziende private con sede fuori dall’Unione, rispondenti a logiche e interessi esterni? O verranno create stablecoin gestite da entità regolamentate, supervisionate da BCE ed EBA, integrate in modo coerente nel sistema finanziario europeo?


Con quali regole? L’Europa sceglierà di mantenere un impianto normativo che frena proprio le innovazioni più promettenti, come le stablecoin con rendimento? Oppure sarà in grado di costruire un quadro regolatorio più flessibile, che garantisca sicurezza e trasparenza senza soffocare la competitività?


In quale contesto geopolitico si vuole agire? Il Web3 si sta consolidando attorno a standard dominati dal dollaro digitale privato, rafforzando la leadership monetaria americana. La domanda non è più se entrare in gioco, ma se l’Europa vuole essere parte attiva nella definizione del nuovo ordine monetario tokenizzato o rassegnarsi a subirlo.


⏳ Il tempo per restare fermi è finito


L’idea che si possa difendere la sovranità monetaria semplicemente bloccando la concorrenza privata è un’illusione. Non si tutela il potere dell’euro con i divieti, ma offrendo alternative migliori, integrate, moderne e competitive.


L’Europa ha ancora la possibilità di incentivare lo sviluppo di stablecoin euro-backed trasparenti, pienamente regolamentate e magari integrate con l’euro digitale. Può utilizzarle come leva innovativa per finanziare il debito pubblico in modo sostenibile e per collegare la propria politica monetaria all’infrastruttura emergente del Web3. L'euro può ancora diventare una moneta capace di agire, proporre e guidare la trasformazione.

Oppure può continuare a frenare, rinunciando a giocare un ruolo da protagonista, mentre altri – Stati Uniti, Asia, nuove alleanze digitali – scrivono le regole del nuovo ordine monetario globale. Andrehot,

Wagmi Team

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