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Wagmi PRO | 🤖 AI + Crypto: il Nuovo Motore dell'Economia

Due forze stanno ridisegnando l’economia globale: l’Intelligenza Artificiale e la blockchain.

La prima comprime i costi dell’intelligenza e moltiplica la produttività a ritmi esponenziali. La seconda offre un’infrastruttura monetaria e contrattuale neutrale, programmabile e resistente alla manipolazione. Non sono trend paralleli, ma tecnologie complementari: l’AI genera nuova domanda di calcolo, energia e pagamenti automatizzati, la blockchain fornisce il linguaggio economico con cui queste interazioni possono avvenire in modo sicuro e globale.


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Un Nuovo Paradigma


La narrativa dominante di questo periodo storico è praticamente una sola: l’intelligenza artificiale.


Nvidia, Palantir e l’intero comparto dei semiconduttori sono diventati i simboli della nuova economia e stranamente i retail hanno cavalcato questi investimenti in massa. È un comportamento tipico delle fasi di euforia e in questi casi, quando una narrativa di mercato diventa egemonica, ogni piccolo segnale contrario può innescare prese di profitto generalizzate e generare montagne russe di volatilità.


Molti, partendo da questo presupposto, vi diranno che l'AI è una bolla sopravvalutata.


Ma la vera chiave di lettura non è tanto se l’AI sia “sopravvalutata” o meno, quanto il suo effetto sistemico sul modo in cui interpretiamo i mercati.


L’AI, con la sua capacità di scalare esponenzialmente, erode i cosiddetti "fossati competitivi" delle aziende tradizionali, in inglese moat, cioè le barriere competitive costruite nel tempo grazie a brand, distribuzione, know-how, capacità tecnologiche, forza lavoro, rischiano di diventare irrilevanti in pochi anni.


Quando un modello generativo può scrivere codice, progettare strategie di marketing o assistere nella ricerca legale meglio e più velocemente di interi team, il valore delle vecchie barriere si riduce drasticamente.

In questo contesto entra in gioco Bitcoin. Non come semplice “oro digitale”, ma come l’unico moat rimasto intatto nell’economia digitale: infatti la sua scarsità programmata e nessuna possibilità di manipolazione, lo rendono un asset unico, non replicabile da nessuna azienda né da nessuno Stato, da nessuna AI.


Mentre l’AI smonta le difese competitive dei business, Bitcoin è la copertura strutturale, non verso la tecnologia, ma verso l’instabilità che essa genererà nei prossimi anni, alla quale nessuno è preparato.


Parlando di AI, ad oggi molti, spaventati dalle valutazioni, paragonano Nvidia alla Cisco del 2000, a me fanno tenerezza, è un errore di prospettiva che nasce dalla tentazione di leggere il presente con le lenti del passato, un classico.


Per capire perché il paragone non regge, serve ricordare cos’era davvero la bolla dot-com: negli anni ’90 Internet era la nuova frontiera, e ogni azienda che avesse anche solo “.com” nel nome vedeva le proprie azioni esplodere di valore, non contavano i ricavi, non contavano i profitti, contava solo esserci, raccogliere capitali e promettere crescita infinita. Considerate che il Nasdaq quintuplicò in pochi anni, spinto da società che non avevano un modello di business solido e che bruciavano cash flow a ritmi impressionanti.


A quei tempi Cisco era un colosso delle infrastrutture di rete e negli anni ’90 è diventata l’azienda simbolo della bolla dot-com perché forniva l’hardware che permetteva a Internet di funzionare e tutti credevano che con Internet in crescita apparentemente infinita, anche la domanda dei suoi apparati sarebbe cresciuta senza limiti. Il problema fu che la domanda reale non riuscì a reggere le aspettative.


Nel marzo 2000 Cisco arrivò a superare i 550 miliardi di dollari di capitalizzazione, diventando per un breve periodo l’azienda più capitalizzata al mondo, ma dietro quella valutazione non c’erano utili proporzionati: i multipli P/E* erano insostenibili, gonfiati da aspettative di crescita illimitata. Quando la bolla scoppiò, il titolo perse oltre l’80% del valore e impiegò più di un decennio per tornare ai massimi.


*Il Price/Earnings ratio (P/E) è uno degli indicatori più usati in finanza per capire se un’azione è “cara” o “a buon prezzo”. Si calcola dividendo il prezzo di un’azione per gli utili che quell’azienda genera in un anno.

  • Se un’azione vale 100 dollari e l’azienda produce 5 dollari di utili per azione, il P/E sarà 20.

  • In pratica significa che l’investitore sta pagando 20 dollari per ogni dollaro di utili che l’azienda genera.

Un P/E molto alto può voler dire due cose:

  1. Speculazione → il mercato paga troppo rispetto agli utili reali (come nel caso di Cisco nel 2000).

  2. Crescita attesa → il mercato crede che gli utili futuri cresceranno molto e quindi è disposto a pagare di più oggi (come sta accadendo oggi con Nvidia e l’AI).


Il punto chiave è che il P/E funziona bene in contesti di crescita lineare, ma diventa poco utile in scenari di crescita esponenziale, perché i multipli che sembrano “alti” oggi possono diventare bassissimi tra pochi trimestri.



Oggi la situazione è radicalmente diversa. Nvidia e l’intero ecosistema AI non crescono su promesse vuote, ma su utili e flussi di cassa concreti.


Le GPU sono introvabili, la domanda supera l’offerta trimestre dopo trimestre, e i margini restano altissimi, direi che non siamo di fronte a un’illusione speculativa, ma a un paradigma nuovo in cui i modelli di valutazione tradizionali diventano insufficienti.


Il punto non è più il P/E a 12 mesi, ma la capacità di comprendere curve esponenziali, gli utili di Nvidia si moltiplicano a ritmi che rendono persino i multipli apparentemente “alti” in realtà sono troppo bassi rispetto al potenziale.


Il paragone corretto non è con Cisco nel 2000, ma con Amazon nei primi anni 2000 o con Apple nel 2007 al lancio dell’iPhone: allora i multipli sembravano assurdi, ma i modelli lineari non potevano catturare l’impatto trasformativo di una tecnologia destinata a ridefinire interi settori.


Oggi Nvidia rappresenta lo stesso tipo di “asset pivotale”, è l’azienda che fornisce l’infrastruttura critica della nuova era tecnologica.


Quello che spaventa e al tempo stesso disorienta è la natura esponenziale della crescita. La mente umana ragiona in modo lineare: se un’azienda cresce del 10% quest’anno, immaginiamo che possa crescere di un altro 10% l’anno prossimo. Ma la rivoluzione AI non procederà così. Qui siamo di fronte a un’accelerazione che ricorda l’avvento dell’elettricità o di Internet: curve che si piegano verso l’alto, generando profitti e domanda a un ritmo che i modelli tradizionali non sanno spiegare.


I colli di bottiglia nel mercato reale lo dimostrano: GPU introvabili, memoria ad alta banda insufficiente, data center saturi.


Lo vediamo anche nell’esperienza quotidiana: se oggi volessi usare Google Veo per generare un video, ti troveresti limitato a pochi secondi di output oppure con ChatGPT e altri modelli avanzati esistono vincoli di utilizzo, tempi di attesa, accessi contingentati.


Non si tratta di scelte di marketing, ma del riflesso di un’infrastruttura che non riesce ancora a soddisfare la domanda.


Pensaci bene: hai mai visto una bolla in cui la domanda supera l'offerta?


Se fossimo in una bolla speculativa, l’offerta supererebbe già la domanda e i prezzi crollerebbero, ma sta accadendo l’opposto. Questo non è il finale del ciclo, è l’incipit. Chi continua a chiamarla “bolla” sta confondendo la volatilità fisiologica con la natura esponenziale del trend.


Una volta ho sentito una magnifica definizione di bolla economica che mi ha fatto pensare:


“A bubble is just a bull market in which you don’t have a position”.


Gli effetti sul NASDAQ della bolla DotCom
Gli effetti sul NASDAQ della bolla DotCom

Il Nuovo Mondo del Lavoro


Negli ultimi mesi, gran parte del dibattito si è concentrato sui dazi introdotti da Trump e sulle possibili ripercussioni inflazionistiche, che è un tema rilevante, ma secondo me un tema del passato e guardare solo a questo fattore rischia di far perdere di vista la realtà.


La vera trasformazione che incombe sul mercato del lavoro è profonda: siamo di fronte a una forza strutturale che modifica il modo stesso in cui le imprese producono, organizzano e impiegano manodopera.

Il meccanismo è semplice e spietato: meno headcount per unità di output. (chiamasi aumento della produttività delle imprese... concetto sconosciuto in Italia.)


Aziende come Zoom hanno già avviato processi di riduzione del personale, mentre Fiverr, simbolo del lavoro digitale a basso costo, non solo taglia, ma obbliga i suoi collaboratori a integrare l’AI come strumento nativo di lavoro quotidiano. Anche Bosch, gigante industriale europeo, segue la stessa direzione. Non si tratta di episodi isolati, ma di un segnale coerente: le imprese stanno riallineando i propri processi produttivi per incorporare algoritmi al posto di lavoro umano ripetitivo o a basso valore aggiunto.


Questo scenario implica che la Federal Reserve si troverà a prendere decisioni non più solo in funzione dell’inflazione, ma anche e sopratutto in funzione della debolezza del mercato del lavoro.


I tagli dei tassi non saranno un “lusso” da concedere, ma una necessità per evitare che la disoccupazione latente diventi un problema sistemico.

Il paradosso è che potremmo vedere un PIL che cresce a ritmi robusti, sostenuto dall’adozione dell’AI e dal capex tecnologico, senza però un corrispondente aumento dell’occupazione. È una condizione mai vista nella storia umana, che renderà i vecchi manuali macroeconomici inadeguati.


Non è un’ipotesi teorica, ma uno scenario che sta già emergendo negli Stati Uniti: PIL al 3%, utili aziendali record, eppure dinamiche occupazionali che non accelerano.


Nel settembre 2025 oltre 40 economisti di primo piano, inclusi ex presidenti della Federal Reserve e premi Nobel, hanno firmato una lettera indirizzata al Dipartimento del Lavoro americano chiedendo se il governo USA sia pronto ad affrontare questa transizione


Il messaggio è chiaro:

  • L’AI sta rimodellando il lavoro a velocità senza precedenti, ma i dati ufficiali non riescono a catturare l’impatto in tempo reale.

  • Senza metriche affidabili su quali posti di lavoro vengono creati, trasformati o eliminati, i governi rischiano di inseguire gli eventi invece di guidarli.

  • Gli economisti chiedono quindi dataset più granulari e tempestivi, capaci di fotografare l’effetto dell’AI su occupazione, salari e produttività.


La lettera non è un allarme generico, ma un segnale istituzionale forte: anche i vertici della politica economica riconoscono che il rapporto tra AI e lavoro non è più un tema futuristico, ma una questione di policy immediata.


Ed è proprio questo il fatto che molti ignorano, non si parla più di un rischio lontano, ma di una trasformazione già in atto e le prime vittime sono già visibili con aziende che riducono i team legali o di customer support e simili perché un modello AI ben addestrato svolge le stesse funzioni a una frazione del costo.


Il processo si muove in tre fasi, nella fase attuale la pressione si concentra sui cosiddetti white collar: professionisti che tradizionalmente godevano di una protezione grazie alla loro formazione specialistica.


Quello che secondo me tutti immaginano più lontano di quanto sia è la fase due (che invece accadrà probabilmente nei prossimi 2/3 anni) cioè la fase in cui l’automazione toccherà trasporti e servizi, con l’arrivo di robotaxi e sistemi di automazione di massa.


Infine, la fase successiva vedrà la diffusione dei robot umanoidi, pronti a sostituire manodopera industriale e lavori manuali. E non sarà tra 20 anni, che vi sia chiaro.


È una sequenza che ricorda l’industrializzazione del XIX secolo, ma con una differenza sostanziale: il ritmo è esponenziale e non ci sarà tempo per adattarsi al nuovo mondo.


Le implicazioni sociali e politiche sono enormi, i governi, dal canto loro, dovranno affrontare la questione di come ridistribuire la ricchezza prodotta dall’AI: redditi di base, incentivi fiscali, programmi di reskilling.


Nulla di tutto questo sarà semplice, perché significherà ripensare il contratto sociale stesso.


Per gli individui, la questione da comprendere è che non basta più specializzarsi in un singolo ambito lavorativo perchè l’AI rende obsoleta l’iper-specializzazione. (non apro il capitolo scuola, formazione, lauree etc perché se no questo articolo diventerebbe un libro, ma direi che stiamo formando i giovani con le stesse materie di 20 anni fa, e non vedo un grande futuro in questo modello).


La vera difesa per il singolo è imparare a usare l’AI come estensione quotidiana delle proprie capacità.


Non serve essere ingegneri o data scientist: ciò che conta è la capacità di integrare questi strumenti nei processi reali, dal lavoro d’ufficio alla creatività, dalla ricerca di mercato alla gestione finanziaria.


Chi saprà diventare un generalista competente, capace di orchestrare diverse competenze grazie all’AI, avrà un vantaggio competitivo enorme.

Un avvocato che sa usare modelli verticali per ridurre i tempi di ricerca giuridica, un consulente che integra LLM per costruire scenari macro in tempo reale, un imprenditore che sfrutta l’AI per validare idee e prototipi più velocemente: questi non sono “utopisti”, ma i professionisti che domineranno la prossima decade.


Al contrario, chi ignora l’AI rischia di rimanere tagliato fuori, non perché sarà “sostituito da un robot”, ma perché diventerà meno produttivo e meno competitivo rispetto ai colleghi che la usano ogni giorno.

È una corsa contro il tempo, e la vera linea di demarcazione non sarà più tra chi ha un lavoro e chi no, ma tra chi lavora con l’AI e chi prova a farne a meno.



AI: Il Nuovo Motore dell’Economia


Uno dei punti più sottovalutati è che l’intelligenza artificiale non è solo un trend di mercato, ma una leva macroeconomica per l’intera economia (sopratutto quella americana in questo momento). Negli ultimi due anni, i cosiddetti Magnificent 7 hanno destinato al capex livelli mai visti prima, trasformando i propri bilanci in macchine da investimento. Nel 2024 la spesa cumulata ammontava a circa 300 miliardi di dollari; nel 2026 potrebbe superare i 500 miliardi. Ancora più impressionante è il rapporto capex/cash flow, che è passato dal 35% al 75% in tre anni.


Questa dinamica richiama alla mente i grandi cicli infrastrutturali della storia: l’elettrificazione negli anni ’30, le autostrade americane nel dopoguerra, Internet negli anni ’90.


In tutti questi casi, le spese apparivano inizialmente sproporzionate, eppure hanno gettato le basi per decenni di crescita economica e oggi la stessa logica si ripete: il capitale viene concentrato in pochi attori capaci di reggere la scala dell’investimento, trasformandoli in veri e propri “utility provider” dell’era AI.


L’AI sta diventando la nuova utility dell’economia globale, e gli Stati Uniti stanno guidando questa trasformazione a colpi di centinaia di miliardi di dollari.


Il contributo dell’AI è già visibile anche nei dati macro: secondo Bloomberg Economics, la sola AI spiega fino a un punto percentuale della crescita del PIL USA, mentre l’occupazione mostra segnali di debolezza. È la fotografia di una frattura storica: un’economia che cresce, ma senza creare nuovi posti di lavoro.


Non è un’anomalia passeggera, ma la conseguenza strutturale di un’economia che sostituisce capitale umano con capitale computazionale. Il risultato come già detto è che la Fed, nei prossimi anni, dovrà prendere decisioni più in funzione del mercato del lavoro che dell’inflazione. È un cambio di paradigma nella politica monetaria.


Sul fronte corporate, casi come Oracle mostrano quanto la domanda di AI sia esplosiva. Nel 2024 gli ordini AI della società sono aumentati del +500% anno su anno, e il PIL nominale USA è trainato anche da questa nuova ondata di spesa. Oracle non è sola: Microsoft, Amazon, Meta, Google stanno riscrivendo le proprie priorità di bilancio per cavalcare l’onda.


l’AI non è solo un tema tecnologico o azionario, è una variabile macro, ma sta cambiando il modo in cui crescono il PIL, il lavoro e i flussi di capitale globale.


A rendere il quadro ancora più significativo è la competizione geopolitica.


La Cina non resta a guardare: nel 2024 ha investito circa un trilione di dollari in energia pulita e infrastrutture digitali, pari a quasi il 10% del suo PIL. Alibaba ha alzato i propri piani di capex per moltiplicare per dieci la capacità AI entro il 2030.


La partita non è quindi confinata agli Stati Uniti: è una corsa globale in cui ogni nazione cerca di garantirsi l’accesso a ciò che sta diventando una risorsa strategica quanto il petrolio nel Novecento.


In questo senso, parlare di bolla è miope: si tratta piuttosto di una gara a chi costruisce le fondamenta della nuova economia.



Dal PC all’AI


Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha detto chiaramente: “stiamo entrando in una fase di rebuild totale, in cui tutti i computer del mondo dovranno essere riconfigurati per essere AI-native”.

Non è un’iperbole, ma una dichiarazione di intenti che sintetizza la scala della trasformazione.


La rivoluzione che stiamo vivendo può essere paragonata soltanto a due momenti storici: l’avvento del personal computer negli anni ’70–’80 e la diffusione di Internet negli anni ’90.


In entrambi i casi, ciò che sembrava un gadget per pochi pionieri è diventato in pochi anni un’infrastruttura universale e oggi l’AI si trova esattamente in quella fase iniziale, ma con una differenza fondamentale: la velocità.

Se l’adozione del PC e del web ha richiesto decenni, la curva dell’AI procede a ritmi esponenziali, compressi in pochi anni.

Stiamo assistendo alla più grande sostituzione tecnologica della storia recente: tutto ciò che era costruito attorno alle CPU, dai server ai laptop, dagli smartphone agli elettrodomestici, deve migrare verso architetture GPU o NPU, progettate per l’elaborazione parallela e l’AI-native computing.


Non si tratta solo di aggiornare i data center, ma di ridefinire ogni device che usiamo.

Nel giro di un decennio, ogni oggetto digitale sarà dotato di un “cervello AI”: PC, auto, telefoni, persino macchinari industriali e robot domestici.

Questa transizione non è opzionale, perché chi non adotta l’AI rimane indietro. L’esempio più vicino è lo smartphone: quando Apple lanciò l’iPhone, molti pensarono che fosse solo un telefono costoso. In pochi anni, l’intero ecosistema tecnologico si è ricostruito attorno ad esso, e chi non ha saputo adattarsi (pensiamo a BlackBerry o Nokia) è scomparso. Oggi stiamo entrando in una fase analoga, dove l’AI non è un optional ma una utility di base: come l’elettricità o Internet, destinata a diventare invisibile e indispensabile.


Le implicazioni sono globali: ogni Paese dovrà sviluppare la propria infrastruttura AI!


Si tratta di decidere oggi quanto investire in data center, chip, reti energetiche e capitale umano.


E qui emerge una frattura netta: mentre USA e Cina stanno spendendo centinaia di miliardi di dollari l’anno per costruire la nuova infrastruttura digitale, in Europa il dibattito politico resta spesso inchiodato su questioni del passato. Così invece di affrontare la sfida tecnologica ed energetica che definirà i prossimi decenni, ci si perde in regolamentazioni minori e discussioni sterili che non spostano di un millimetro la competitività del continente.


La conseguenza è chiara: senza una strategia di lungo periodo sull’AI, l’Europa rischia di ripetere lo stesso errore commesso con Internet e con il cloud, rimanendo dipendente da infrastrutture estere e perdendo sovranità tecnologica ed economica.

Per i mercati emergenti, paradossalmente, questo rappresenta un’opportunità: così come molti hanno saltato la fase delle linee telefoniche fisse passando direttamente agli smartphone, potrebbero ora bypassare le infrastrutture base e costruire sistemi AI-native sin dall’inizio, spesso integrandoli con stablecoin e soluzioni crypto per pagamenti e connettività.

In sintesi, stiamo entrando in una nuova era di sostituzione tecnologica.



AI Agents


La prima ondata dell’intelligenza artificiale generativa è stata dominata dai grandi modelli generalisti: ChatGPT, Claude, Gemini. Potenti, versatili, ma anche pieni di limiti. Errori grossolani, allucinazioni, incapacità di gestire linguaggi specialistici: tutti problemi che li rendono poco affidabili per l’uso professionale in settori ad alta sensibilità.


È per questo che sta emergendo una seconda fase: quella degli AI agents verticali, costruiti non per sapere “un po’ di tutto”, ma per eccellere in campi precisi.


Alcune nuove start-up hanno capito che per superare i limiti degli LLM generalisti servono esperti umani che guidino l’addestramento, così ingaggiano, ad esempio, avvocati di alto profilo, pagati centinaia di migliaia di dollari l’anno, per correggere gli output del modello verticale, perfezionarlo e insegnargli il linguaggio tecnico del settore. Il risultato è un modello legale che non solo riduce errori e allucinazioni, ma è in grado di operare come un vero “avvocato digitale”.


Lo stesso approccio si sta replicando in medicina, in finanza, nell’industria: modelli verticali che sostituiscono o potenziano professionisti umani in compiti altamente specifici.


Il mercato di riferimento non sono i singoli studi o le PMI, ma i giganti del cloud. Microsoft, Meta, OpenAI comprano e integrano questi agenti all’interno delle proprie piattaforme, monetizzando con l’aumento della domanda di calcolo e di storage.


Ogni nuovo agente significa più GPU accese, più energia consumata, più abbonamenti corporate venduti, è un modello che ricorda quello delle app sugli smartphone: all’inizio il mercato era Apple che vendeva il suo device (iPhone), ma poi il vero valore è arrivato con l’ecosistema di applicazioni dell' AppStore.


E' qui che la connessione con la crypto diventa inevitabile: gli AI agents dovranno compiere transazioni, gestire risorse digitali, eseguire pagamenti in modo autonomo e senza intermediazione.

Non si tratta di fantascienza, ma di una necessità tecnica: un agente che opera per conto di un’azienda o di un individuo avrà bisogno di un conto digitale nativo, con regole programmabili e sicurezza intrinseca.


In pratica, ogni agente verticale dovrà avere un “portafoglio on-chain”: ricevere e inviare stablecoin, interagire con smart contract per automazione di processi, custodire dati e asset.


È il ponte che unisce il mondo dell’intelligenza artificiale con quello della finanza decentralizzata. Chi saprà cogliere questa convergenza avrà accesso non solo a un nuovo settore tecnologico, ma a un’intera infrastruttura economica che sta nascendo sotto i nostri occhi.


Se Bitcoin rappresenta il moat monetario in un’economia guidata dall’AI, Ethereum (per primo ma non è l'unico) è il candidato naturale a diventare il settlement layer di questa nuova era digitale.


Il motivo è semplice: gli AI agents non saranno solo strumenti di calcolo, ma veri e propri soggetti economici che dovranno interagire, pagare, custodire risorse e stipulare contratti.


Tutto ciò richiede un’infrastruttura trustless, programmabile e globale: esattamente ciò che offre Ethereum ad esempio.


Facciamo un esempio pratico: immaginiamo un agente legale verticale: riceve richieste da clienti, consulta basi dati, redige documenti e invia un output. Ogni step ha un costo computazionale che deve essere fatturato in tempo reale.


Un modello di business simile non può basarsi su bonifici o carte di credito: ha bisogno di pagamenti machine-to-machine, granulari e automatizzati. Qui entrano in gioco le stablecoin su Ethereum, che permettono micropagamenti sicuri, regolati in pochi secondi e senza necessità di intermediari.


La questione non è solo di pagamento, ma anche di custodia e governance. Un AI agent che gestisce risorse per conto di un’azienda o di un individuo dovrà avere regole chiare su limiti di spesa, modalità di utilizzo e auditabilità. Gli smart contract consentono di codificare policy operative: un “conto digitale” che autorizza spese fino a una certa soglia, che richiede firme multiple per operazioni delicate o che invia alert automatici in caso di anomalie. Grazie a account abstraction e tecniche di MPC (multi-party computation), questi meccanismi diventano pratici e sicuri.


In questo caso la blockchain non è solo settlement finanziario, quella è una funzione base. Con le reti DePIN (Decentralized Physical Infrastructure Networks), la blockchain diventa anche il sistema di incentivi per la fornitura distribuita di calcolo, storage e connettività. Già oggi esistono progetti che remunerano con token chi mette a disposizione GPU inutilizzate o banda di rete. In prospettiva, gli AI agents potranno acquistare risorse da queste reti, scalando capacità computazionale on demand senza passare dai monopolisti del cloud.


Questo scenario apre una nuova frontiera: non solo AI che “usano” la blockchain, ma AI che vivono on-chain, con wallet, contratti e capacità di interagire economicamente.


È una trasformazione radicale: dall’utente umano che utilizza Ethereum per fare trading o DeFi, a un ecosistema dove agenti artificiali diventano nativi della blockchain. L’economia degli smart contract smette di essere solo un layer di speculazione e si trasforma nella spina dorsale di un’economia automatizzata, abitata da entità digitali che producono, consumano e regolano valore in tempo reale.


Per gli investitori, la chiave è riconoscere che il valore di Ethereum non deriva solo dal suo ruolo nella finanza decentralizzata tradizionale, ma dalla possibilità di essere la piattaforma transazionale della nuova economia degli agenti.


Se Bitcoin è la riserva di valore, Ethereum è l’infrastruttura di interazione e la narrativa degli AI agents on-chain non è solo hype futuristico, ma una rivoluzione già in corso.



La Nuova Economia Digitale


Guardare a Intelligenza Artificiale e crypto come due mondi separati è un errore prospettico: sono due facce della stessa medaglia, due tecnologie che stanno costruendo insieme la spina dorsale della prossima economia digitale.


Per capire dove stiamo andando, dobbiamo immaginare tre direttrici di convergenza che già oggi stanno prendendo forma e che nei prossimi anni diventeranno inevitabili.


1. Pagamenti nativi machine-to-machine

L’AI non sarà solo “intelligenza che risponde”, ma diventerà un vero soggetto economico. Un agente AI che lavora per un’azienda, compra risorse cloud o gestisce un servizio legale, dovrà poter effettuare pagamenti in autonomia.È qui che entra Ethereum: grazie a stablecoin e smart contract, la blockchain diventa il layer naturale per transazioni granulari, istantanee, senza banche né intermediari. Parliamo di micropagamenti continui, ad esempio per l’uso di GPU in cloud: un flusso di valore al secondo, come se si pagasse per ogni unità di calcolo consumata.


2. Mercati decentralizzati di risorse computazionali

Oggi il potere di calcolo è concentrato in pochi player (Microsoft, Google, Amazon). Domani, parte di questo mercato potrebbe spostarsi su reti decentralizzate. Attraverso le DePIN (Decentralized Physical Infrastructure Networks) chiunque potrà mettere a disposizione GPU inutilizzate o banda di rete, ricevendo in cambio token.Gli AI agents potranno acquistare queste risorse direttamente, senza passare dai monopolisti del cloud. È l’equivalente del passaggio dalle centrali elettriche centralizzate alla produzione distribuita con i pannelli solari: un ribaltamento dell’economia di scala che apre spazi enormi di disintermediazione.


3. Finanza autonoma

Quando AI e blockchain si incontrano, nasce un nuovo tipo di attore economico: l’AI agent che non solo elabora informazioni, ma compie azioni economiche, firma contratti, gestisce risorse.Non è un’utopia: già oggi esistono esperimenti di agenti che aprono wallet on-chain, eseguono transazioni e interagiscono con smart contract in totale autonomia. Questo scenario porterà alla nascita di vere e proprie aziende autonome, dove l’AI gestisce budget, stipula contratti, acquista risorse, assume persone (non ci mai avevi pensato vero? Si presto lavoreremo per agenti AI ). Insomma un ecosistema in cui il valore non si muove più solo tra esseri umani, ma anche tra entità artificiali, tra "macchine".


Il nuovo equilibrio dei ruoli

  • Bitcoin è e rimarrà il "moat" monetario, la riserva di valore scarsa, non manipolabile, che nessuna AI può replicare o corrompere.

  • Ethereum si afferma come il settlement layer, la piattaforma che permette agli agenti – umani o artificiali – di interagire economicamente in maniera trustless.

  • L’AI diventa il motore di calcolo che rende possibile questa nuova economia, trasformando elettricità in intelligenza e intelligenza in azione economica.


La sintesi è brutale: AI e crypto non sono trend paralleli, ma infrastrutture complementari. Una senza l’altra non reggerebbe. L’AI ha bisogno di un sistema monetario neutrale e programmabile per vivere on-chain, mentre le crypto hanno bisogno dell’AI per espandere i casi d’uso ben oltre la speculazione.


Per un investitore, la sfida non è prevedere ogni dato macro o inseguire ogni narrativa di breve, ma avere la lucidità di distinguere tra rumore e direzione, tra il ciclo di breve e la traiettoria secolare.

La direzione è chiara:

  • più AI significa più domanda di energia,

  • più necessità di calcolo distribuito,

  • più bisogno di un bene scarso e neutrale come Bitcoin,

  • più utilità per una rete programmabile come Ethereum.


La strategia vincente non è evitare la volatilità, ma usarla come strumento, accumulare con disciplina e diversificare lungo i pilastri strutturali della rivoluzione tecnologica , è così che si cavalcano i trend esponenziali: non cercando di anticiparli perfettamente, ma restando posizionati quando la curva accelera.


Insomma, non siamo di fronte a un ciclo speculativo passeggero. Stiamo assistendo alla nascita di una nuova infrastruttura globale, dove calcolo ed energia si fondono e il denaro diventa digitale per necessità.





Stefano Inga








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