Wagmi PRO| 😤 Nocoiner Syndrome: la Psicologia di chi Odia Bitcoin!
- Wagmi Team
- 7 minuti fa
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C’è chi critica Bitcoin senza averlo mai studiato, chi lo deride senza averlo mai posseduto, chi lo attacca non per quello che è, ma per quello che rappresenta. Non è scetticismo razionale. È qualcosa di più profondo. Bitcoin non mette in crisi solo un modello economico, ma identità, status e certezze costruite nel tempo. È uno specchio scomodo che riflette rimpianti, bias cognitivi e la paura di aver perso una delle più grandi trasformazioni monetarie della storia.
In questo report analizziamo la nocoiner syndrome come fenomeno psicologico, culturale e sistemico. Non per difendere Bitcoin, ma per capire perché provoca reazioni emotive così forti in chi lo ha ignorato.

Introduzione
In questo periodo di feste, approfittiamo di una pausa dal rumore quotidiano dei mercati per parlare di un tema diverso dal solito.
Niente prezzi, niente target, niente grafici. (solo per oggi, promesso). Nel mondo delle criptovalute c’è un comportamento tanto diffuso quanto sottovalutato: non parliamo di chi compra o vende Bitcoin, ma di chi non l’ha mai fatto eppure lo critica con fervore. Non è semplice disinteresse, né scetticismo ragionato. È qualcosa di più viscerale: una forma di rigetto attivo, spesso espresso con toni sarcastici, accuse morali o attacchi sprezzanti verso l’intero ecosistema crypto.
Questo atteggiamento adesso ha un nome, almeno tra chi segue da vicino il settore: nocoiner syndrome.
Ne conosciamo tutti almeno uno!
Non è una diagnosi clinica, ma una chiave di lettura per interpretare un pattern sempre più visibile: persone che non solo hanno perso l’opportunità Bitcoin, ma che oggi sembrano intenzionate a delegittimarla, come se screditarla potesse cancellare il disagio di non esserci state.
Ma perché succede? E, soprattutto, cosa ci racconta questo comportamento, non solo sul piano psicologico, ma come segnale culturale, economico e finanziario?
Cos’è la Nocoiner Syndrome?
La nocoiner syndrome è una reazione difensiva, più che una posizione razionale.
È il frutto di una tensione interna tra due elementi:
L’evidenza crescente del successo di Bitcoin, sia in termini di prezzo che di adozione globale.
Il rifiuto personale (passato o presente) di averci creduto, investito o semplicemente dedicato attenzione.
Quando questi due elementi coesistono nella stessa mente, il risultato è spesso una forma di negazione aggressiva: chi soffre di nocoiner syndrome tende a minimizzare, ridicolizzare o attaccare chi invece ha creduto in Bitcoin.
Le accuse sono le più varie: "speculazione", "truffa", "bolla", "non ha valore reale", "inquina", "favorisce il crimine".
Ma in fondo, tutte queste argomentazioni servono un unico scopo: difendere la narrativa personale, mantenere integro il proprio ego, e giustificare a posteriori una scelta (non investire) che oggi appare sempre più sbagliata.
La nocoiner syndrome è una forma di resistenza psicologica al cambiamento.
E come spesso accade, chi resiste al cambiamento lo fa con maggior veemenza proprio quando quel cambiamento si fa evidente.
Tra economia e psicologia comportamentale
La nocoiner syndrome non nasce semplicemente da un’incomprensione tecnologica, certo, Bitcoin non è facile da capire: è un asset nuovo, un network decentralizzato, un’idea politica codificata in righe di codice.
Ma ciò che genera rigetto o fastidio verso Bitcoin raramente è la tecnologia in sé.
Più spesso, le radici di questa avversione affondano in strati profondi del comportamento umano, dove si incontrano bias cognitivi, costrutti identitari, e una difesa attiva dello status quo.
Bitcoin non è solo una novità: è una provocazione esistenziale per chi ha costruito il proprio ruolo, la propria carriera, o la propria visione del mondo attorno a un sistema centralizzato e prevedibile.
Il Cantillon Effect
Nel sistema monetario fiat, il denaro non è neutrale: chi ha accesso prima alla nuova liquidità , banche, governi, attori istituzionali, gode di un vantaggio nascosto.
Questo è il Cantillon Effect: un fenomeno poco noto al grande pubblico, ma fondamentale per comprendere il funzionamento delle economie moderne.

Bitcoin è un attacco frontale a questa dinamica, non esiste una banca centrale, non esistono privilegi di emissione, la moneta nasce da un processo pubblico e trasparente (il mining), accessibile a chiunque, regolato da un algoritmo.
Per chi ha sempre beneficiato, consapevolmente o meno, di un sistema dove il potere è concentrato, Bitcoin rappresenta una minaccia filosofica.
Non è solo un’alternativa: è un modello che sbugiarda quello attuale, mostrando come si possa creare fiducia senza gerarchia, valore senza debito, finanza senza politica.
Ed è qui che nasce il disagio: perché quando un’idea funziona nonostante te, mette in discussione tutto quello che pensavi di sapere.
Il rimpianto: l’emozione più insopportabile
Tra tutte le emozioni che un investitore o un osservatore può sperimentare, il rimpianto è probabilmente la più corrosiva.
Mentre la perdita si può razionalizzare ("è colpa del mercato", "è stato un cigno nero"), il rimpianto ti costringe a guardarti allo specchio.
“Hai avuto l’occasione. L’hai vista. E l’hai lasciata andare.”
Bitcoin è un generatore seriale di rimpianti.
I numeri lo rendono spietatamente evidente:
100 euro investiti nel 2013? Oggi sono milioni.
Persone che ridevano nel 2017, oggi investono in ETF.
Chi parlava di “giocattolo per nerd” nel 2020, oggi fa DCA ogni mese su Bitcoin.
Questo rimpianto genera dissonanza cognitiva, un conflitto tra la realtà esterna (Bitcoin è cresciuto, è adottato, è studiato) e la narrazione interna (“io sono razionale, io non ho sbagliato”).
Quando la mente incontra questa tensione, ha due scelte: evolvere… o difendersi,
spesso sceglie la seconda.
E così nasce il nocoiner, questo essere speciale che non solo rifiuta Bitcoin, ma lo combatte! Perché ogni giorno in cui Bitcoin esiste e cresce, è una smentita vivente delle sue scelte passate.
Status, identità e costruzione di una nuova narrativa
C’è un altro elemento cruciale che spiega la nocoiner syndrome: la minaccia allo status.
Immagina un analista finanziario con anni di esperienza, un docente universitario di economia, un consulente patrimoniale, gente che ha costruito il proprio valore su conoscenza, competenza, previsione.
Ora immagina cosa significa, per queste figure, dover ammettere di non aver colto una delle più grandi trasformazioni monetarie degli ultimi secoli.
Non solo non l’hanno vista arrivare, ma magari l’hanno derisa, ignorata, sminuita.
Il danno reputazionale non è banale.
E allora, per proteggersi, nasce una nuova narrativa mentale:
“Non ci ho investito perché è una bolla.”
"E' un Ponzi!"
“Bitcoin non ha valore intrinseco.”
“È solo speculazione, non è economia reale.”
Queste frasi non sono argomentazioni, sono barriere difensive, servono a mantenere intatto un ego costruito su certezze che oggi traballano, ma la cosa più interessante è che funzionano. Rassicurano, legittimano, creano una comunità di altri “scettici razionali” con cui condividere lo scetticismo.
Il paradosso è che questa narrativa, invece di proteggere lo status, lo erode ulteriormente.
Perché chi rimane ancorato al passato, in un contesto che evolve, non è percepito come coerente. È percepito come fuori tempo massimo.
La “sindrome del buon senso” e i bias che ci fregano (senza che ce ne accorgiamo)
C'è un ultimo meccanismo, forse il più subdolo, che alimenta la nocoiner syndrome: la sindrome del buon senso.
È quella voce interiore, e spesso anche pubblica, che dice: “Se davvero fosse così rivoluzionario, lo avrebbero già adottato tutti”.
Oppure: “Se fosse davvero una riserva di valore, lo direbbero i media tradizionali.”
È il rifiuto automatico di tutto ciò che non rientra nei paradigmi conosciuti. Il problema è che:
Le rivoluzioni non partono mai dal buon senso.
Il buon senso, per definizione, arriva sempre dopo l’innovazione, quando è già digerita, quando non fa più paura.
Nel frattempo, a governare le scelte di chi rimane ai margini ci sono alcuni bias cognitivi ben documentati in psicologia comportamentale.
Eccoli, applicati al caso Bitcoin:
Loss Avversion: le persone temono più la perdita che desiderano un guadagno equivalente. Investire in Bitcoin oggi, per chi ha aspettato troppo, significa rischiare una perdita immediata che fa molto più paura del rimpianto di non averlo fatto prima.
Status Quo Bias: tendiamo a preferire ciò che già conosciamo, anche se imperfetto, rispetto a un’alternativa incerta. Meglio l’euro che “una cosa inventata da un tizio anonimo”. Questo bias spinge a rimanere fedeli al sistema fiat per semplice familiarità, non per vera convinzione.
Confirmation Bias: chi non ha investito cerca e seleziona solo le notizie che confermano la propria posizione scettica: hack, truffe, volatilità. Ignora sistematicamente gli sviluppi positivi (adozione istituzionale, integrazione regolamentare, crescita tecnologica). È un filtro che conferma i pregiudizi e rafforza il rifiuto.
Insieme, questi meccanismi creano una corazza invisibile ma potentissima, proteggono l’identità del nocoiner, lo rassicurano, gli permettono di non cambiare idea… anche a costo di perdere ancora opportunità.
Ed è proprio qui che si gioca la partita vera: Bitcoin non è solo una nuova asset class. È uno specchio. Riflette paure, bias, rigidità mentali. Ma anche apertura, visione e capacità di evolvere.
In fondo, il vero investimento non è quello in un asset, è quello nella propria capacità di cambiare idea quando il mondo cambia.
Puoi approfondire questi e altri bias cognitivi legati agli investimenti in questo articolo, dove analizziamo in dettaglio come influenzano le nostre decisioni finanziarie — anche quando pensiamo di essere perfettamente razionali.
Il caso BCE
Tra gli episodi più emblematici di nocoiner syndrome istituzionalizzata, spicca senza dubbio il paper pubblicato nel 2022 da due economisti della Banca Centrale Europea.
In quel documento, Bitcoin veniva definito esplicitamente come “immorale” e “ingiusto”. Due aggettivi forti, che sollevano subito una domanda cruciale: da quando un’istituzione monetaria, teoricamente neutrale e tecnica, si esprime in termini etici su un asset?
Questa presa di posizione non è casuale, né isolata.
È il sintomo di qualcosa di più profondo: una forma di disorientamento istituzionale di fronte a un fenomeno che, pur non essendo ancora sistemico in termini quantitativi, lo è sempre più in termini qualitativi e simbolici.
Nel paper della BCE, il focus non è sulla volatilità di Bitcoin, né sulla sua efficienza come mezzo di pagamento. Le critiche si concentrano su aspetti come:
L’iniquità distributiva: secondo gli autori, i primi investitori hanno tratto vantaggi sproporzionati.
L’impatto ambientale: viene rimarcata la questione energetica legata al mining.
L’assenza di valore intrinseco: un classico argomento già sentito mille volte in ambienti fiat.
Questi temi, presi singolarmente, magari meriterebbero anche una riflessione (magari eh), ma il fatto che siano diventati l’ossatura di un documento ufficiale della BCE, invece di un’analisi tecnica del protocollo o della sua funzione nel sistema monetario globale, rivela una strategia comunicativa ben precisa.
L’uso del linguaggio morale è una tecnica classica di delegittimazione: serve a spostare il confronto da un piano razionale a uno emotivo, per difendere implicitamente lo status quo.
Quando non si può più negare la rilevanza di un fenomeno, si prova a distruggerne la legittimità.
Bitcoin, quindi, non viene contrastato per quello che fa, ma per quello che simbolizza.
Una frustrazione istituzionale sempre più evidente
A ben vedere, il tono del paper trasuda un sentimento che va oltre la critica accademica: è frustrazione.
La BCE, come molte banche centrali, si trova in una fase storica delicatissima: deve mantenere la fiducia nei confronti dell’euro, contenere l’inflazione e contemporaneamente fronteggiare le critiche crescenti legate all’eccessiva stampa monetaria degli ultimi decenni.
E proprio mentre cerca di ristabilire credibilità, emerge un asset che:
non ha bisogno di intermediari per funzionare;
non si può stampare a piacimento;
non può essere censurato o sequestrato;
è trasparente nel codice e nella governance.
In altre parole, Bitcoin rappresenta l’antitesi tecnica e filosofica della banca centrale moderna,
non è solo "un altro asset rischioso", è un benchmark etico per chi ha perso fiducia nelle istituzioni monetarie.
E questa comparazione silenziosa è, per molti banchieri centrali, insopportabile.
Va anche detto che questo attacco arriva in un momento storico in cui Bitcoin non è più solo un esperimento tecnologico.
Ad oggi Bitcoin è:
incluso nei bilanci di aziende quotate;
oggetto di ETF istituzionali;
adottato come riserva sovrana da alcuni stati;
tema ricorrente nella politica (come negli USA).
In questo scenario, le banche centrali non possono più ignorarlo. Ma non avendo strumenti per controllarlo, né leve per integrarlo nei modelli monetari tradizionali, lo percepiscono come una minaccia sistemica e reagiscono con ciò che hanno: narrativa, semantica, ideologia.
😤 Che fastidio gli early adopters!
Uno dei giudizi più frequenti, e ingiusti, che si sentono rivolgere agli early adopters di Bitcoin è questo: “Hanno avuto solo fortuna.”
Una frase che, in superficie, sembra logica.
Ma che in realtà nasconde una profonda incomprensione di cosa significhi davvero credere in qualcosa prima che sia ovvio.
📅 Bitcoin nel non era un’opportunità. Era un azzardo!
Nei primi anni di Bitcoin non c’erano conferenze patinate, ETF spot, istituzionali che facevano endorsement su Bloomberg. C’era un file su un forum. Un whitepaper firmato da uno pseudonimo. E un’idea tanto potente quanto folle: creare denaro fuori dal controllo statale.
Chi ha creduto in Bitcoin allora, ha rischiato tutto: reputazione (era considerato materiale per anarchici o criminali), capitale (nessuna certezza che avesse valore), in alcuni casi persino la libertà (quando il mining o l’uso del BTC venivano guardati con sospetto dalle autorità).
Parliamo di pionieri, non di fortunati, di persone che hanno investito in una visione, non in una tendenza.
🔁 Un pattern che si ripete in ogni rivoluzione
La verità è che il fastidio verso gli early adopters è una costante, ogni volta che nasce qualcosa di nuovo, chi lo abbraccia per primo viene ridicolizzato.
Solo dopo, quando il cambiamento diventa inevitabile, quegli stessi pionieri vengono celebrati… o invidiati.
Un esempio perfettamente analogo? I content creator su internet.
Nel 2012 chi apriva un canale YouTube veniva considerato ridicolo.
Nel 2016 chi usava Instagram per promuoversi veniva deriso come narcisista.
Nel 2020 chi postava su TikTok era visto come immaturo o in cerca di attenzioni.
Oggi? Le stesse aziende che ridevano del “cringe” dei video online pagano agenzie per imparare a farli.
E gli stessi professionisti che guardavano con superiorità chi faceva contenuti, ora cercano personal brand strategist per imparare a farsi ascoltare.
Anche qui, la dinamica è identica: l’early adopter rompe le convenzioni, espone le debolezze del sistema esistente, sfida le norme di status e per questo viene attaccato.
🎯 La verità è che l’early adopter costringe gli altri a farsi domande scomode
“Perché non ci ho pensato prima?”
“Perché non ho avuto il coraggio di provarci?”
“Perché ho bisogno dell’approvazione altrui per fare qualcosa?”
Gli early adopter sono uno specchio. E non tutti sono pronti a guardarsi dentro.
🛠 Bitcoin come modello universale di coraggio asimmetrico
Per questo chi ha creduto in Bitcoin, non va ridicolizzato. Va ascoltato. Perché ha colto per tempo una frattura nel sistema. Ha visto prima degli altri un cambio di paradigma.
E questa è una competenza rarissima: non tecnica, ma psicologica.
La capacità di agire prima del consenso e di investire prima del ritorno.
Non è fortuna.
È visione. Ed è il tipo di visione che cambia le economie, i mercati, i modelli culturali.
Ecco perché, quando oggi qualcuno attacca chi “è entrato troppo presto”, il vero messaggio che sta comunicando è: “Non riesco a tollerare che tu abbia avuto più coraggio di me.”
Come superare la nocoiner syndrome
Non è mai troppo tardi per cambiare prospettiva. La nocoiner syndrome non è una condanna, ma un passaggio.
Ecco alcuni suggerimenti per uscirne:
Esporsi, anche solo un po’. Anche una piccola posizione in Bitcoin aiuta a spostare il focus dalla difesa ideologica alla comprensione strategica. (non è un consigilo finanziario, fai sempre le tue ricerche eh...)
Sospendere il giudizio. Non serve amare Bitcoin. Serve solo riconoscere che è un fenomeno troppo grande per essere liquidato con una battuta.
Accettare il proprio errore passato. È umano. L’importante è non perseverare.
Studiare, senza filtri. Leggere le fonti primarie, esplorare il protocollo, ascoltare chi ne ha fatto parte sin dall’inizio.
Coltivare uno status interiore. Non serve avere avuto ragione in passato. Serve avere il coraggio di cambiare idea nel presente.
Conclusione
La nocoiner syndrome non è semplicemente un’opinione contraria a Bitcoin. È il riflesso di una resistenza profonda, psicologica e sistemica, verso un cambiamento che mina le fondamenta di tutto ciò che conosciamo: come funziona il denaro, chi decide il valore, da dove nasce la fiducia.
Bitcoin è un esperimento riuscito. Non perfetto, ma funzionante.
E questa sola realtà mette in crisi decenni di narrazioni fiat-centriche: sul ruolo delle banche centrali, sull’inflazione della moneta come male necessario, sull’idea che solo le istituzioni possano garantire stabilità.
Ma il rifiuto verso Bitcoin, spesso mascherato da moralismo, sarcasmo o presunto buon senso non nasce da un’analisi razionale, nasce da emozioni scomode: il rimpianto, la perdita di status, la paura di aver sbagliato tutto.
È umano. Ma è anche pericoloso.
Perché oggi non siamo più nel 2010, né nel 2017. Oggi Bitcoin è un asset istituzionale, un’infrastruttura globale, un benchmark geopolitico.
Continuare a ignorarlo, deriderlo o ridurlo a “moda passeggera” non è più scetticismo: è cecità strategica.
Siamo davanti a un bivio culturale: da un lato, chi resta aggrappato a vecchie certezze, protetto dai bias che gli impediscono di evolvere.
Dall’altro, chi accetta la fatica di cambiare idea, chi studia, ascolta, esplora, non per seguire una moda, ma per capire meglio il mondo che sta arrivando.
Perché il futuro non è mai comodo, al contrario: è scomodo, spiazzante, contraddittorio, ma è anche l’unico posto in cui valga davvero la pena investire.
Stefano Inga.
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