top of page
Entra nel club

Wagmi PRO | Clarity Act: il Catalizzatore per la Bull Run 2026?

Negli ultimi cicli il mercato crypto è stato letto quasi esclusivamente attraverso la lente della liquidità e anche se oggi quel quadro resta valido, potrebbe non essere più sufficiente. Guardando al 2026, sta emergendo un fattore meno discusso, ma potenzialmente decisivo: la possibilità che il contesto regolatorio smetta di essere un freno strutturale alla crescita dell’ecosistema.


ree

Negli ultimi mesi abbiamo parlato (ampiamente direi) di Fed, liquidità, rollover del debito e di come il ciclo stia diventando sempre più “macro”, laa tesi di fondo resta quella:


Debito -> bisogno di liquidità -> inflazione degli asset.


E come abbiamo visto, anche quando i tassi restano alti, la liquidità trova strade “tecniche” (repo, TGA, RMP, etc...) e finisce dove c’è meno attrito.


Tuttavia propio qualche giorno fa, un utente di Wagmi PRO mi chiedeva:


" Quale può essere secondo te un catalizzatore che faccia da scintilla a una movimento bullish nel 2026?".

E subito mi ha fatto pensare che nella scacchiera 2026 c’è un pezzo che il mercato sta iniziando a prezzare come game changer per la fase successiva del ciclo.


Il Digital Asset Market Clarity Act of 2025 (H.R. 3633), meglio conosciuto come Clarity Act.


ree

Per carpirci al volo, se la liquidità è il carburante del nostro veicolo, il Clarity Act è la patente diciamo, e senza patente, molti capitali grossi non possono essere guidati verso il mondo crypto.




Cos'è il Clarity Act


Partiamo da un punto centrale: negli USA il capitolo legislativo legato alle stablecoin è ormai scritto in modo definitivo mentre il resto dell’architettura regolatoria crypto è ancora instabile, politicamente reversibile e quindi strutturalmente fragile.



Il Genius Act infatti  è stato firmato in legge il 18 luglio 2025 e rappresenta il primo vero framework legislativo federale statunitense sulle stablecoin.


ree

In termini pratici, questa legge stabilisce che le stablecoin ancorate al dollaro possono esistere legalmente, essere emesse da soggetti autorizzati e soprattutto utilizzate per pagamenti e settlement, all’interno di un perimetro regolatorio chiaro e federale.


Insomma l’uso delle stablecoin come infrastruttura monetaria e di regolamento ha oggi una base legale molto più solida rispetto al passato, neinte più zone grigie e interpretazioni caso per caso, le regole di base ora sono definite.


Ed è proprio per questo che stiamo già vedendo l’infrastruttura muoversi in quella direzion, banche, circuiti di pagamento, operatori finanziari e big tech stanno iniziando a trattare le stablecoin non più come un esperimento borderline, ma come un layer tecnologico credibile per i pagamenti digitali e il settlement finanziario.


Tuttavia, se il capitolo stablecoin ha finalmente una base legale solida, il resto dell’assetto regolatorio del mercato crypto negli Stati Uniti resta invece incompleto.


Ed è qui che entra in gioco il Clarity Act, ad oggi la proposta normativa più rilevante per il settore, il cui obiettivo è proprio chiudere il vuoto più pericoloso dell’intero ecosistema: definire in modo chiaro chi regola cosa, e con quali regole operative, nel mercato degli asset digitali.


Non si tratta di un dettaglio tecnico, ma dell’ossatura stessa del mercato perchè senza un delle regole chiare, non si capisce se exchange, broker e custodi crypto debbano rispondere alla SEC, alla CFTC, o a entrambe e soprattutto non è chiaro in base a quale interpretazione e con quale rischio di applicazione retroattiva delle regole.


Il problema non è che le istituzioni “odino” le criptovalute. Il problema è che le temono perché oggi un operatore può essere considerato conforme secondo un’autorità, e trovarsi anni dopo sotto indagine da un’altra. Le temono perché il confine tra “commodity digitale” e “security” viene spesso tracciato ex post, a mercato già avvenuto. Le temono perché, senza un assetto regolatorio del mercato chiaro, il rischio legale non è quantificabile, e ciò che non è quantificabile non è investibile su larga scala.


Il CLARITY Act nasce esattamente per questo: trasformare un mercato governato da interpretazioni variabili in un mercato fondato su regole esplicite, perimetri chiari e responsabilità definite e finché questo passaggio non avviene, anche in presenza di liquidità abbondante e casi d’uso in crescita, una parte rilevante del capitale istituzionale resterà strutturalmente cauta.



Stato attuale


Dal punto di vista formale, la situazione è apparentemente ferma, l’ultima azione ufficiale registrata è il passaggio del CLARITY Act al Senato il 18 settembre 2025, con assegnazione alla Senate Banking Committee. Da allora, nessun avanzamento legislativo definitiv, complice anche il lungo government shutdown.


ree

Sul piano politico e operativo, il segnale più rilevante è che la discussione non ruota più attorno al se una legge sull’assetto regolatorio del mercato crypto sia necessaria, ma attorno al come costruirla e chi debba guidarne l’implementazione. Un passaggio chiave in questa direzione è arrivato dalla Senate Agriculture Committee, che ha pubblicato una discussion draft bipartisan a firma Boozman e Booker. Questo documento non sostituisce il Clarity Act approvato alla Camera, ma lo estende e lo rafforza, consolidando l’idea di attribuire alla CFTC un ruolo centrale nella supervisione del mercato spot delle cosiddette digital commodities. Il segnale politico è chiaro: l’impianto concettuale del Clarity act non è isolato, ma sta diventando il punto di convergenza del lavoro in Senato.


A questo si aggiunge un elemento di timing tutt’altro che secondario: nelle ultime settimane è emersa l’indicazione, riportata da Bloomberg, che le commissioni Senate Banking e Agriculture stiano lavorando per arrivare a una markup già a gennaio 2026, se confermata, questa tempistica ridurrebbe drasticamente la finestra di incertezza percepita dal mercato.


Ed è esattamente per questo che il CLARITY Act assume un profilo da potenziale catalizzatore per il 2026, perché il mercato potrebbe passare rapidamente da una fase di aspettativa passiva a una fase di re-rating attivo, nel momento in cui il percorso legislativo diventa credibile e temporalmente definito.



Cosa cambia se il Clarity Act passa


li Clarity Act non è una soluzione miracolosa, ma piuttosto è una macchina regolatoria che serve a una funzione precisa: far entrare capitale strutturale nel settore riducendo il rischio di problemi legali e di compliance.


Il primo effetto riguarda exchange, broker, dealer, custodi, banche e tutte queste entità. Il Clarity introduce categorie di registrazione e un perimetro operativo più definito, spostando l’asse della supervisione verso la CFTC per le digital commodities. Il risultato pratico è un aumento del comfort legale nell'operare in ambito crypto per banche, prime broker, market maker e per tutta quella infrastruttura che trasforma l’interesse teorico in allocazione reale.


Un altro degli elementi più rilevanti, e meno compresi, del Clarity Act è il concetto di blockchain matura, definita attraverso criteri di decentralizzazione e di assenza di controllo concentrato. Molti effetti pratici della legge dipendono proprio da questa classificazione.

Dal punto di vista dell’investitore, la traduzione è semplice: non sarà bullish per tutte le altcoin (inizialmente), sarà bullish soprattutto per quegli asset che possono credibilmente posizionarsi come infrastruttura commodity-like, sostenendo listing, distribuzione e utilizzo senza apparire come equity mascherate.


Il tema più delicato resterà la DeFi: il Clarity Act tende a preservare poteri anti-frode e anti-manipolazione e a delineare dei perimetri, ma la vera battaglia politica del 2026 sarà capire se e quanto la DeFi verrà trattata come software infrastrutturale o come forma di intermediazione finanziaria, è qui che possono emergere emendamenti in grado di cambiare radicalmente l’impatto finale della legge, per questo motivo, l’evoluzione di questo lato sarà uno dei principali driver di volatilità del settore nel momento in cui il processo legislativo entrerà nella sua fase decisiva.



Risk Budget


Una crypto bull run non è mai solo una questione di liquidità monetaria e di "risk appetite" ma è anche, e spesso soprattutto, una questione di "risk budget".


ll risk appetite, o "appetito per il rischio", lo avrai sicuramente già sentito, è la voglia di rischiare: quanto un investitore si sente a suo agio nel prendere rischio in un determinato momento.


Il risk budget invece è quanto rischio un investitore può permettersi di prendere, non quanto ne vorrebbe prenderne. Questo dipende spesso per investitori istituzionali da vincoli concreti come volatilità dell'asset, regole interne di gestione, incertezza normativa, correlazioni e stabilità del contesto macro. Insomma, per farla semplice, quando questo spazio è limitato, il capitale si concentra sugli asset percepiti come più solidi, quando si amplia, il capitale può spingersi verso asset più rischiosi e verso l’innovazione.


Questo è un punto che abbiamo già chiarito più volte nei nostri report: finché lo stress sistemico rimane elevato, è difficile vedere estensioni di bull run con conseguente Alt-season.


La liquidità può anche essere abbondante (negli ultimi mesi è mancata pure quella a dire il vero, ma tornerà a breve...), ma se il rischio percepito è alto, il capitale sceglie la protezione prima dell’espansione e in quel contesto, tende a concentrarsi su Bitcoin e su poche altre large cap considerate più resilienti.


Perché la rotazione parta davvero, serve qualcosa in più, serve un contesto in cui il mercato smetta di sentirsi in modalità emergenza, in cui il rischio non venga più percepito come esistenziale, ma come gestibile, ed è solo in quel momento che il capitale si sposta lungo la curva del rischio.


Qui che entra in gioco il Clarity Act, in un modo che molti sottovalutano, il Clarity Act infatti non importa direttamente nuova liquidità nel sistema, non favorisce l'abbassamento dei tassi, non crea credito, non espande i bilanci, quello che fa è diverso, ma altrettanto potente: trasforma liquidità potenziale in liquidità utilizzabile, in altre parole, crea quella che potremmo definire "liquidità legale".


Se questa seconda leva si attiverà nel 2026, il suo impatto può essere sproporzionato rispetto alla percezione iniziale perché agisce proprio nel punto di frizione che oggi blocca la rotazione: il rischio normativo non quantificabile.

In uno scenario del genere, il Clarity Act può diventare il ponte tra due fasi del ciclo, da un lato, una bull run di Bitcoin guidata da flussi macro, sfiducia fiscale e tensioni sul debito sovrano. Dall’altro, una bull run più ampia dell’ecosistema, guidata da adozione, applicazioni, infrastruttura e costruzione di lungo periodo.


Questa lettura si incastra perfettamente con il nostro framework sul ciclo di liquidità, secondo il quale ci troviamo in una fase avanzata del ciclo, con una probabilità non trascurabile di estensione verso la prima parte del 2026.


Se a questo contesto macro si sovrappone un miglioramento credibile dell’assetto regolatorio del mercato, l’effetto combinato sarà cumulativo.



ree

Entra nel Wagmi Trading Club, la nuova community dedicata al trading sulle crypto di Wagmi Lab!


Un luogo dove troverai tutto ciò che serve per crescere come trader al riparo dalla fuffa che trovi online:


📊 Analisi tecniche e set-up quotidiani dai nostri trader.

🎓 Il videocorso completo Master of Profits.

🏆 Competizioni mensili con premi reali.

🎁 Bonus, competizioni, iniziative e contenuti esclusivi dedicati agli iscritti.

💬 Un ambiente attivo dove confrontarti con altri trader e condividere strategie.


Per ora l’accesso è completamente gratuito! 


👉 Entra nel Trading Club Gratuitamente



Non tutte le blockchain sono uguali


Un punto centrale del Clarity Act è il concetto di maturità della blockchain, legato a decentralizzazione, governance e assenza di controllo concentrato. Questo criterio non è neutrale ma spingerà il capitale verso reti che possono dimostrare di non dipendere da un singolo emittente o da una struttura opaca di incentivi.


Ethereum e Solana ad esempio sono tra le poche che possono sostenere un’analisi di questo tipo senza collassare al primo scrutinio. Molti altri progetti, soprattutto quelli costruiti attorno a token altamente concentrati o a modelli di governance fragili, rischiano invece di trovarsi in difficoltà proprio nel momento in cui la chiarezza aumenta.


Se il ClarityAct diventa realtà, la bull run non sarà indiscriminata. Sarà gerarchica.


Prima le infrastrutture credibili. Solo in seguito, eventualmente, il resto dell’universo crypto.


Una volta chiarito perché il Clarity Act può agire da catalizzatore ciclico, il punto cruciale diventa un altro: chi beneficia davvero di un assetto regolatorio del mercato più chiaro?

Perché la risposta non è “tutto il settore”.


Anzi, la maggiore chiarezza tende storicamente a produrre più selezione, non meno.


Il Clarity Act non è una legge “pro-altcoin”. È una legge che favorisce infrastrutture credibili, capaci di sostenere un utilizzo reale, intermediari regolati e flussi istituzionali. Questo implica che una parte rilevante dell’universo crypto resterà marginale anche in uno scenario normativamente più favorevole.


Il criterio chiave: infrastruttura vs veicolo speculativo


Il discrimine non è tecnologico in senso stretto, ma strutturale. Le blockchain che beneficiano di un quadro regolatorio più definito sono quelle che possono essere lette come strati infrastrutturali, non come semplici veicoli di estrazione di valore.


In altre parole, il mercato inizierà a chiedersi non solo se una rete funziona, ma se può reggere capitali, applicazioni, compliance e utilizzo su larga scala, senza dipendere da interpretazioni regolatorie fragili.


È qui che Ethereum e Solana emergono come casi particolari.


Ethereum arriva a questa fase del ciclo con un vantaggio chiave: è già percepito come infrastruttura de facto del futuro della finanza, non come progetto emergente. Stablecoin, tokenizzazione, DeFi, NFT finanziari, layer di settlement. Gran parte dell’attività economica on-chain passa già da Ethereum o dai suoi layer di scalabilità.


In un contesto di maggiore chiarezza normativa, questo si traduce in un punto fondamentale: Ethereum non ha bisogno di reinventarsi. Deve solo essere legittimato come ciò che di fatto è già diventato. Ed è esattamente questo il tipo di riconoscimento che una definizione più chiara tra commodity digitali e strumenti finanziari tende a favorire.


Dal punto di vista allocativo, questo significa che Ethereum è uno dei pochi asset che può beneficiare sia della narrativa macro (liquidità, rischio sistemico, alternativa finanziaria), sia della narrativa industriale/legale (adozione, applicazioni, infrastruttura).


Solana invece gioca una partita diversa, ma non meno interessante. Il suo vantaggio non è storico, ma operativo. Costi bassi, alta capacità di throughput, esperienza utente più vicina a quella dei sistemi centralizzati. In uno scenario in cui la regolazione smette di essere una minaccia costante, queste caratteristiche diventano improvvisamente centrali.


Se l’assetto regolatorio del mercato si chiarisce, il focus si sposta dalla sopravvivenza alla competizione per l’uso reale e in quella fase, le blockchain che riescono a sostenere volumi elevati, applicazioni consumer e interazioni frequenti hanno un vantaggio strutturale.


Solana non è priva di rischi, né di trade-off. Ma è una delle poche reti che può realisticamente ambire a diventare un layer operativo per applicazioni finanziarie e non finanziarie ad alta intensità di utilizzo e in un contesto normativamente più stabile, questo tipo di profilo tende a essere premiato.


Capitale Istituzionale


Per capire perché il Clarity Act può fare la differenza, è utile ribaltare la prospettiva: il punto non è chi oggi non vuole investire nel settore crypto. Il punto è chi non può farlo.


Gran parte del capitale che potrebbe alimentare la prossima fase del ciclo non è assente ma direi più che è escluso, bloccato da vincoli regolatori, di compliance, di mandato. Ed è proprio questo capitale che può rientrare in gioco se l’attrito normativo si riduce.


Oggi molti fondi ad esempio possono detenere Bitcoin senza problemi attraverso ETF spot, strumenti regolati, custodia qualificata, narrativa macro chiara, Bitcoin è diventato, a tutti gli effetti, un’esposizione accettabile anche per portafogli tradizionali.


Ma quello stesso capitale non può estendere l’allocazione in modo naturale verso il resto dell’ecosistema crypto, e il risultato è un mercato sbilanciato, esiste, ad esempio, una vasta categoria di fondi che oggi possono esporsi a Bitcoin, ma non possono esporsi a Ethereum. Il motivo non è tecnologico, è regolatorio, Ethereum viene spesso visto come infrastruttura, ma senza un assetto regolatorio del mercato chiaro, resta esposto a interpretazioni variabili e per un gestore istituzionale questo significa una cosa sola: rischio di compliance non quantificabile.


Se il Clarity Act contriburà a chiarire il perimetro delle cosiddette digital commodities e a distinguere in modo più netto tra infrastruttura e strumento finanziario, quel capitale non deve essere convinto, deve solo essere autorizzato. Ed è una differenza enorme.


Un altro blocco fondamentale riguarda il sistema bancario, ad oggi infatti molte banche US possono utilizzare stablecoin per pagamenti, settlement o test interni operando in completa legalità, ma non possono costruire prodotti crypto completi, offrire servizi integrati o sviluppare infrastrutture on-chain in modo strutturale. Il motivo, ancora una volta, non è tecnologico ma è l’assenza di un quadro chiaro su ruoli, responsabilità, supervisione.


E' facile capire che nessuno vuole rischiare finché tutta la parte regolamentatoria resta ambigua.


C’è poi una categoria spesso ignorata nei cicli crypto: il capitale industriale: aziende tecnologiche, fintech, operatori di pagamento, software house... Questi attori non cercano volatilità, cercano stabilità normativa sufficiente per investire tempo, capitale umano e reputazione.


Oggi molte di queste aziende osservano il settore, costruiscono proof of concept, ma rimandano le decisioni strategiche. Non perché non credano nel potenziale della blockchain, ma perché non vogliono costruire sopra fondamenta che potrebbero essere rimesse in discussione da un cambio di interpretazione regolatoria.


Quando l’attrito normativo scende, questo tipo di capitale entrerà a mercato in modo diverso, non comprerà token per specualzione, ma piuttosto costruisce prodotti e servizi, porta utenti, genera volumi, ed è questo il tipo di domanda che trasforma un bull market in una bull run strutturale.


JPMorgan e Tokenizzazione


Per capire cosa significa davvero ridurre l’attrito normativo, non servono ipotesi teoriche, basta guardare cosa stanno facendo alcuni grandi attori mentre il quadro regolatorio inizia lentamente a chiarirsi. Un esempio emblematico è JPMorgan Chase, una delle più grandi e influenti banche d’investimento al mondo, con migliaia di miliardi di dollari in asset gestiti e un ruolo centrale nei mercati globali dei pagamenti, della finanza corporate e dei capital markets.


Parliamo di un'istituzione così importante che spesso le sue scelte strategiche tendono spesso ad anticipare i movimenti del resto del capitale istituzionale, più che a seguirli.


Nelle ultime settimane, JPMorgan ha annunciato il lancio di un fondo monetario tokenizzato su Ethereum, utilizzato come veicolo di rendimento e settlement on-chain. Non si tratta di un test accademico, né di un proof of concept marginale, ma si tratta di un prodotto reale, costruito da una delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo, con logiche di efficienza operativa, gestione della liquidità e ottimizzazione del settlement.


ree

Questo passaggio è estremamente rilevante per due motivi: il primo è che non è una scommessa speculativa. È un investimento industriale.

JPMorgan non sta comprando Ethereum perché “bullish”, ma sta usando Ethereum come infrastruttura.


Il secondo è che mostra in modo plastico cosa succede quando il rischio normativo diventa sufficientemente gestibile. Anche in assenza di un assetto regolatorio perfetto, alcune istituzioni iniziano a muoversi prima, perché capiscono dove sta andando il sistema.



Ma la vera espansione non arriva con una singola entità come JPMorgan, arriverà quando questo tipo di iniziative diventerà replicabile, scalabile e difendibile per un numero molto più ampio di attori.


È esattamente questo il punto: il ClarityAct serve a permettere a decine, centinaia di attori di mercato simili di fare lo stesso passo, senza dover costruire ogni volta un castello legale ad hoc.


In questo contesto, Ethereum emerge non come “altcoin”, ma come layer infrastrutturale su cui la finanza tradizionale può iniziare a innestarsi, non perché sia perfetto, ma perché è già sufficientemente integrato, liquido e utilizzato. Questo è il tipo di dinamica che non produce spike immediati di prezzo, ma cambia la traiettoria del ciclo per sempre.


Rischi sottovalutati del Clarity Act


Finora abbiamo analizzato come il Clarity Act possa ridurre l’attrito normativo e creare le condizioni per un’evoluzione più matura del mercato crypto. Tuttavia, è proprio in questo passaggio che emerge il punto più delicato: la politica, quando interviene, raramente si limita a chiarire, spesso ristruttura.


Ogni volta che il perimetro legale si stringe, alcune dinamiche vengono legittimate, altre inevitabilmente compresse.


Ridurre l’incertezza non significa eliminare il rischio, ma trasformarlo, spostandolo da un piano invisibile a uno esplicito, con vincitori e perdenti ben definiti. Per questo motivo, accanto ai potenziali benefici di questo cambio legislativo, è fondamentale analizzare i rischi strutturali che una maggiore ingerenza politica può introdurre: rischi che il mercato tende a sottovalutare proprio perché meno immediati, ma che possono incidere profondamente sulla forma, sulla velocità e sulla qualità del prossimo ciclo crypto.


1. Chiarezza ≠ bull market

La regolazione tende storicamente a ridurre leva e sperimentazione, non ad ampliarle. Il Clarity Act può rendere il mercato più investibile ma meno convesso. Bull run più ordinata, non necessariamente più violenta.


2. Effetto selezione distruttivo

Definire cosa è “digital commodity” significa escludere il resto. Molti token oggi economicamente vivi diventano legalmente non distribuibili. Più chiarezza → meno sopravvissuti.


3. DeFi = rischio politico

Un singolo emendamento su AML, responsabilità o funzionamento front-end può comprimere i volumi che arrivano daglistati Uniti o cambiare drasticamente l'eperienza utente se aumentano i passaggi regolatori ad esempio kyc). La DeFi non è il beneficiario naturale della chiarezza, è il punto più fragile.


4. Capitale istituzionale selettivo

Il capitale non è in attesa passiva. Nel 2026 compete con AI, difesa, energia. Il Clarity Act sblocca accesso, non garantisce allocazione.


5. Rischio BTC-centrico

Uno scenario dal quale Bitcoin ne esce rafforzato, Ethereum solo parzialmente rivalutato, e le altcoin marginalizzate. Più chiarezza potrebbe consolidare gerarchie, non avviare un alt-season generalizzata.


6. Timing ciclico

Se arriva a ciclo macro troppo avanzato, l’impatto è strutturale ma non catalitico. Narrativa forte, price action deludente.



Conclusione


Il punto centrale resta uno: il motore del ciclo crypto è e rimane macroeconomico, debito, liquidità e fragilità del sistema finanziario stanno già spingendo Bitcoin a comportarsi come un vero asset macro, indipendentemente dall’evoluzione normativa. Il Clarity Act non cambia questa dinamica.


Quello che può cambiare è la forma del ciclo, non la sua esistenza.


Riducendo l’attrito normativo, il Clarity Act può rendere il mercato più investibile, ma anche più selettivo, può favorire la costruzione di infrastrutture e prodotti istituzionali, ma allo stesso tempo comprimere sperimentazione, leva e dispersione.


Sul medio periodo, la nostra lettura resta prudente ma costruttiva. I segnali attuali sono più coerenti con una fase di ritraccio ciclico che con l’inizio di un vero bear market, una pausa fisiologica in un contesto in cui il mercato sta ricalibrando risk budget, aspettative e narrativa.


Se il Clarity Act dovesse passare, l’impatto non sarebbe automatico né immediato. Se invece dovesse essere rinviato o annacquato, il ciclo non verrebbe invalidato, ma diventerebbe più lento, più volatile e meno ordinato, con una rotazione più difficile verso small cap.


Ed è proprio questa asimmetria a rendere questa proposta di legge così rilevante. Non decide se il mercato crescerà. Decide quanto sarà selettivo, quanto capitale di qualità riuscirà ad attrarre e quanto tempo servirà perché la prossima fase del ciclo maturi davvero.



Stefano Inga

bottom of page