Wagmi PRO | 🌐 Liquidità Globale: Outlook settembre 2025
- Wagmi Team

- 8 set
- Tempo di lettura: 14 min
La liquidità globale è tornata ai massimi storici: un oceano di capitale continua a scorrere nei mercati, alimentato da banche centrali e debito pubblico. Eppure, guardando agli asset, non vediamo ancora il riflesso di questa abbondanza.
Siamo in un momento ambiguo: la liquidità c’è, i mercati sono sostenuti, ma l’euforia non si è ancora manifestata. La vera domanda è se questa apparente calma sia il preludio a un’ultima, violenta gamba rialzista o il segnale che il sistema si sta già avvicinando al suo punto di rottura?

🚦 Introduzione:
La sensazione è quella di trovarsi in un punto intermedio: la liquidità è ai massimi, i mercati si muovono ma senza la tipica accelerazione finale. La domanda diventa inevitabile: quanto può durare questa fase e cosa ci aspetta nei prossimi mesi?
Su questo punto gli analisti si dividono. Michael Howell, tra i massimi esperti di flussi di liquidità, avverte che siamo già nella fase finale del ciclo, con un picco atteso entro i prossimi 3/6 mesi.
Raoul Pal, invece, sostiene che le condizioni macro, in particolare il debito da rifinanziare, costringeranno i policymaker a mantenere la liquidità alta più a lungo, estendendo la corsa dei mercati fino al 2026.
👉 In questo report analizzeremo:
il ciclo di liquidità e perché siamo nella sua fase più avanzata
il ruolo della Fed e come i dati sul lavoro abbiano cambiato lo scenario dei tagli
il debito e il rollover come miccia potenziale del prossimo shock
il mercato del collaterale e la volatilità dei Treasury come termometro della stabilità
le implicazioni per Bitcoin e crypto, che oggi beneficiano della liquidità ma domani potrebbero trovarsi al centro della tempesta
L’obiettivo non è solo capire dove siamo, ma soprattutto come cogliere le occasioni senza sottovalutare il rischio.
🌍 Un Mondo di Liquidità
Il punto di partenza per capire dove siamo nel ciclo non è un’opinione, ma un dato: la liquidità globale è ai massimi storici.

Il grafico qui sopra mostra l’andamento dell’aggregato monetario M2 nelle quattro principali economie del pianeta: Stati Uniti, Cina, Eurozona e Giappone.
Ovunque, senza eccezioni, la curva è verticale.
Nonostante i rialzi dei tassi e anni di politiche restrittive, la quantità di denaro nel sistema non ha smesso di crescere, siamo in una fase in cui mercati e policymaker non riescono (o non vogliono) drenare la liquidità in eccesso: ogni volta che il sistema rischia di incrinarsi, viene immessa nuova moneta.
🚨 La Fase più Pericolosa (e Potenzialmente più Redditizia) del Ciclo
I mercati finanziari non si muovono mai in linea retta, si espandono quando la liquidità abbonda, si contraggono quando viene ritirata e questa alternanza crea cicli relativamente regolari che hanno una durata tipica di 5–6 anni.
L’ultimo ciclo ha toccato il suo minimo nell’ottobre 2022, in pieno “bear market” e con gli investitori terrorizzati dal rialzo dei tassi, da allora, la liquidità ha ricominciato a crescere e ha spinto tutti gli asset rischiosi verso l’alto.


Oggi, nel 2025, ci troviamo nella fase più avanzata del ciclo: quella che storicamente anticipa i picchi (e le discese), come si vede anche nel grafico qui sopra.
📈 Cosa significa essere nella fase avanzata?
La fase finale del ciclo è sempre la più pericolosa. È qui che le bolle si formano e i mercati diventano più fragili: l’euforia cancella la percezione del rischio, gli asset pompano più del dovuto, e proprio quando sembra che nulla possa fermare la salita, si crea la vulnerabilità più grande.
Nel mondo crypto, Raoul Pal descrive questo stesso fenomeno con un termine diventato ormai iconico: la Banana Zone.

È la fase in cui tre forze si incontrano:
liquidità abbondante,
narrativa dominante,
adozione in accelerazione.
Quando queste variabili si allineano, i movimenti dei prezzi smettono di essere lineari e diventano esponenziali e Pal sostiene che siamo appena entrati nella fase tre della Banana Zone, quella che porta al picco assoluto del ciclo.
E qui arriva il punto cruciale: secondo la sua analisi, il massimo non arriverà nel 2025, ma potrebbe spingersi fino al primo trimestre del 2026.
Perché?
Secondo Pal perché l’enorme debito globale in scadenza obbligherà i policymaker a tenere aperti i rubinetti della liquidità più a lungo del previsto.
Il paradosso è che proprio la fragilità del sistema finanziario potrebbe prolungare la vita del bull market crypto, dandogli più tempo per esprimere la sua corsa finale.
Non è la prima volta che solleviamo questo tema. Già nei nostri report precedenti, in particolare “ETF Spot e Ciclo di Bitcoin” , abbiamo mostrato come l’ingresso dei flussi istituzionali attraverso gli ETF stia (forse) trasformando la ciclicità storica di Bitcoin.
Il vecchio schema dei quattro anni, scandito solo dagli halving, si sta evolvendo in un ciclo più lungo, più macro e meno dipendente dal retail? Non possiamo saperlo ma è un'eventualità da tenere a mente.
Se fino al 2020 il copione era prevedibile, oggi Bitcoin si muove al ritmo della liquidità globale e dei flussi ETF. È per questo che, già allora, avevamo ipotizzato che il ciclo attuale non sarebbe stato un semplice replay del passato, ma un percorso più esteso e meno violento, dove i massimi potevano arrivare più tardi del previsto.
👉 L’analisi di Pal conferma proprio questa lettura: il massimo del ciclo potrebbe slittare al Q1 2026, segnando la prima vera estensione strutturale del modello storico delle crypto.
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📉 1987 vs 2025: Somiglianze e Differenze
Michael Howell invece paragona l’attuale contesto a quello che portò al crash di ottobre 1987.
Il parallelo non è perfetto, ma serve a capire una cosa fondamentale: i cicli di liquidità non finiscono mai lentamente.
Finiscono di colpo, spesso con conseguenze drammatiche.

🔙 Cosa accadde negli anni ’80
Negli anni ’80 tutto partì con il Plaza Accord del 1985, un accordo siglato a New York tra Stati Uniti, Giappone, Germania Ovest, Francia e Regno Unito, l’obiettivo era ridurre il valore del dollaro, che si era rafforzato troppo penalizzando l’export americano.
Le cinque potenze si impegnarono quindi a vendere dollari e comprare altre valute in modo coordinato e Il risultato fu un indebolimento rapido del dollaro e un’ondata di nuova liquidità che inondò i mercati finanziari.
Per due anni il mercato azionario corse senza freni, in un clima di euforia, quando però le banche centrali tornarono a preoccuparsi dell'inflazione, iniziarono ad alzare i tassi di interesse e non ci volle molto perché l’ottimismo si trasformasse in panico: nell’ottobre 1987 bastò il timore di ulteriori rialzi dei tassi per far crollare Wall Street in poche sedute.
🏦Oggi: Fed, Lavoro e Tassi di Interesse
Se negli anni ’80 fu il rialzo dei tassi a innescare il crash, oggi il nodo centrale è l’opposto: il momento e le modalità del primo taglio della Fed.
Già nell'outlook di luglio avevamo segnalato come la liquidità globale fosse in forte espansione, ma con un’anomalia evidente: l’Asia e l’Eurozona stavano aprendo i rubinetti, mentre gli Stati Uniti restavano in apnea.
La Federal Reserve, infatti, ha mantenuto i tassi di interesse invariati, riducendo solo marginalmente il ritmo del QT: scrivevamo allora che la tessera mancante del puzzle era proprio la Fed.
Quel tassello oggi inizia a muoversi, e la spinta arriva soprattutto dal mercato del lavoro, i dati di agosto hanno mostrato un aumento dei Non Farm Payrolls di appena 22.000 unità, contro attese di 75.000. Si tratta del peggior dato da anni, con un divario significativo rispetto alle previsioni.
Contestualmente, il tasso di disoccupazione è salito al 4,3% (dal 4,2%), mentre la crescita salariale è rallentata al 3,7% annuo (da 3,9%).
👉 Il messaggio è chiaro: il mercato del lavoro USA sta cedendo.
Non è ancora recessione conclamata, ma la traiettoria è evidente: rallentamento dell’occupazione, aumento della disoccupazione e salari in raffreddamento.
La reazione dei mercati non si è fatta attendere. Il Dollar Index è sceso dello 0,7% immediatamente dopo la pubblicazione, segnale che gli operatori stanno già prezzando una Fed più accomodante.

In altre parole, la Fed si trova di fronte a un bivio storico e un singolo taglio potrebbe bastare per smontare il vantaggio relativo del dollaro e liberare flussi enormi verso asset risk-on, crypto in primis.
Ma un errore di tempistica rischia di trasformarsi in detonatore, come nel 1987: se la Fed taglia troppo tardi (e secondo molti, me compreso è già tardi), l’economia potrebbe entrare in contrazione.
👉 La differenza con gli anni ’80 è tutta qui: allora i tassi in salita furono il problema, oggi potrebbe esserlo un taglio tardivo o mal calibrato (o mal comunicato).
💣 Debito, Collaterale e il Cuore del Sistema
In questo momento storico il vero rischio che incombe sui mercati non è l’inflazione di breve periodo, ma la montagna di debito accumulata negli ultimi anni e il suo inevitabile rifinanziamento a condizioni molto più dure.
Si sente spesso parlare di debito pubblico citando numeri pazzeschi, ma per aiutarti a mettere in prospettiva l'incremento esponenziale degli ultimi anni, devi pensare che nei loro primi 200 anni di storia gli Stati Uniti hanno accumulato circa 650 miliardi di dollari di debito pubblico.
Mentre ggi quel numero è arrivato a 36,2 trilioni.
E c’è un dettaglio ancora più impressionante: la metà di questo debito è stata creata soltanto negli ultimi dieci anni!

Durante la fase di emergenza COVID, governi, aziende e famiglie hanno potuto finanziarsi a tassi prossimi allo zero, in pratica si sono “assicurati” costi di finanziamento estremamente bassi per diversi anni, approfittando di condizioni irripetibili.
Tutto bello se non fosse che quel debito comincia a scadere tra il 2026 e il 2028, creando un vero e proprio “muro” di rollover che si concentrerà alla fine del decennio.
Il problema è che il mondo di oggi non assomiglia più a quello del 2020. I tassi non sono più a zero, ma sopra il 4–5% e questo significa che rinnovare le stesse emissioni comporterà un aumento esplosivo dei costi, proprio nel momento in cui i bilanci pubblici e privati sono già sotto pressione.
Ma d'altra parte ogni crisi finanziaria, se la si osserva con il giusto distacco, è stata alla fine una crisi di rifinanziamento del debito.
Nel 1997 furono i debiti a breve in valuta estera che travolsero l’Asia.
Nel 2008 furono i mutui subprime che non si riuscivano più a rifinanziare.
Nel 2012 furono gli spread sui titoli di Stato europei a minacciare l’euro.
Il problema oggi non è diverso, solo più grande. Non si tratta soltanto della quantità di debito, ma del fatto che l’intero sistema finanziario globale poggia su un unico collaterale di qualità: i Treasury USA.
È attraverso i repo e i desk di collaterale che i Treasury vengono trasformati in liquidità e se questo processo si inceppa, la liquidità globale si prosciuga: è qui che entra in gioco la Fed.
Da mesi, Powell e il Tesoro non gestiscono più solo i tassi: gestiscono la volatilità del mercato dei Treasury, si può notare monitorando indicatori come il MOVE Index o gli spread sul SOFR (dati che terremo sott'occhio nei mesi a venire).

È un lavoro da cardiologo che controlla il battito di un paziente in terapia intensiva.
Ma resta un equilibrio precario: potrebbe bastare un errore di timing nei tagli, oppure un’ondata troppo concentrata di rifinanziamenti (come quella prevista tra il 2026 e il 2028) per innescare un collasso improvviso.
Questo è il paradosso di oggi: mercati in espansione grazie alla liquidità, probabile cotinuazione in stile "Banana Zone", ma allo stesso tempo un sistema sempre più dipendente da un collaterale fragile che può saltare da un momento all'altro,
Proprio la combinazione di questi due elementi, liquidità abbondante e vulnerabilità strutturale, spiega perché ci troviamo nella fase più pericolosa del ciclo e perchè questa bull run sembra differente rispetto alle altre.
⚠️ Debito vs Liquidità: la Soglia del Pericolo
Questo grafico mette in relazione due variabili chiave: da un lato il debito complessivo delle economie avanzate, dall’altro la quantità di liquidità domestica disponibile. In pratica, misura quante risorse liquide esistono nel sistema rispetto al debito che deve essere rifinanziato.

Se il rapporto rimane sotto una certa soglia, significa che c’è abbastanza liquidità per sostenere il debito e rifinanziarlo senza tensioni, ma quando il debito diventa troppo grande rispetto alla liquidità, oltre il livello critico del 200%, il sistema entra in zona di rischio: i costi di rifinanziamento aumentano, il collaterale si tende e la probabilità di una crisi finanziaria cresce in modo esponenziale.
Ed è proprio quello che osserviamo nel grafico: ogni volta che la curva ha superato la soglia critica del 200% sono esplosi i grandi shock finanziari degli ultimi quarant’anni (anche quelli citati prima):
il crash del 1987
la crisi asiatica del 1997/98
la GFC del 2008
la crisi bancaria europea del 2012
👉 Come già detto: quasi ogni crisi è stata, in fondo, un problema di debito che non riusciva più a rifinanziarsi rispetto alla liquidità disponibile.
Oggi ci troviamo di nuovo sopra quella soglia. La “Everything Bubble” degli anni 2020, gonfiata da tassi zero e QE senza precedenti, ha lasciato in eredità una montagna di debito che ora deve essere rifinanziata in un contesto di tassi al 4–5%.
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